L’anniversario di Carlo Giuliani, la caduta di Draghi e i compleanni di Ginevra: il racconto della settimana

La morte di Carlo, aggiunta alle torture, alle ossa rotte, alle teste spaccate, fu davvero troppo anche per me e, a distanza di più di 20 anni, oggi posso affermare che sì, avevano ragione loro, i ragazzi a Genova. La grande stortura di tutto questo ragionamento però è che oggi tutta la sinistra istituzionale, me compreso, è intenta a tifare per il remain di Mario Draghi, ex presidente della Bce. Il racconto della settimana.

L’anniversario di Carlo Giuliani, la caduta di Draghi e i compleanni di Ginevra: il racconto della settimana

Mercoledì 20 luglio 2022. Ore 10.00. «Ogni anno il 20 luglio. Nel luglio del 2001 avevo 21 anni, due meno di Carlo Giuliani, ed ero uno stronzetto privo di morale e ideali. Nel luglio del 2001, per la seconda volta consecutiva, non ero stato ammesso agli esami di maturità ed ero stato cacciato dall’istituto per disadattati di lusso che frequentavo. Nel luglio del 2001 non capivo esattamente cosa accadeva intorno a me, fondamentalmente volevo solo sconvolgermi. Ricordo però con esattezza il pomeriggio di quel 20 luglio del 2001, perché sul terrazzo della villa a Moltrasio, sul lago di Como, appresi dal telegiornale che a Genova era morto un ragazzo più o meno della mia età. Un ragazzo morto ammazzato dalla polizia. Un ragazzo che a differenza mia credeva in qualche cosa e a suo modo combatteva perché un altro mondo fosse possibile. Ogni anno il 20 luglio penso a quel ragazzo di 23 anni. Ogni anno penso a quello che quel ragazzo mi ha insegnato».

Scrivere di Genova 2001 senza esserci stati è un po’ come recensire un libro senza averlo mai letto, ho letto da qualche parte. Probabilmente in parte è così. Per quanto mi riguarda la morte di quel ragazzo mi segnò a tal punto che da allora iniziai a vedere il mondo in maniera diversa, anche se poi per molto tempo rimasi il tossico disadattato che ero

Tutti gli anni il 20 luglio scrivo questo pensiero per Carlo Giuliani sulle mie pagine social, e come ogni anno ci penso anche oggi, mentre bevo il caffè comodamente seduto sul balcone di casa che si affaccia su Regina Giovanna, a 42 anni suonati, mentre la temperatura a Milano è insostenibile già alle 10 del mattino. Ci sono tipo 36 gradi. «L’aggressione a una folla fitta a centinaia di migliaia, in una città stretta tra la montagna e il mare, è stato il più deliberato atto criminale commesso dalla forza pubblica dal tempo degli scontrosi Anni 70 in poi», scrive Erri De Luca a riguardo nell’estate del 2005. Il tutto è riportato, insieme a una raccolta di storie a fumetti, scritti e illustrazioni, per ricordare i 20 anni dai fatti del G8 di Genova del 2001, in un prezioso volume intitolato Nessun rimorso, edito da Coconino e pubblicato un anno fa. Per quelli della mia generazione i famigerati fatti di Genova, che anticiparono di qualche mese gli attentati americani dell’11 settembre, sono ancora oggi di un’importanza fondamentale, anche per quelli, come me, che a Genova non ci andarono. Scrivere di Genova 2001 senza esserci stati è un po’ come recensire un libro senza averlo mai letto, ho letto da qualche parte, e probabilmente in parte è veramente così anche se per quanto mi riguarda la morte di quel ragazzo mi segnò a tal punto che da quel momento in poi iniziai a vedere il mondo in maniera diversa, anche se poi per molto tempo rimasi il tossico disadattato che ero. La morte di Carlo però, aggiunta alle torture, alle ossa rotte, alle teste spaccate, fu davvero troppo anche per me e, a distanza di più di 20 anni, oggi posso affermare senza temere smentite che sì, avevano ragione loro, i ragazzi del Genova Social Forum, le tute bianche, i tipi di Lilliput, i centri sociali e tutto il festante, visionario e utopico carnevale che si mosse durante quei giorni, scontrandosi con qualcosa di immensamente più grande di loro. La grande stortura di tutto questo ragionamento però, riportata alla stretta attualità, è che questa mattina tutta la sinistra istituzionale italiana, me compreso, è intenta a tifare per il remain di Mario Draghi, ex presidente della Bce, durante questa pazza crisi di governo che si risolverà oggi alle Camere.

L'anniversario di Carlo Giuliani, la caduta di Draghi e i compleanni di Ginevra: il racconto della settimana
Mario Draghi al Senato (Getty Images).

Ore 11.00. Parcheggiamo la BMW di Alb con frenata sghemba davanti alla sede della radio che sono quasi le 11. Entrambi in bermuda, Birkenstock e t-shirt, abbiamo un look molto diverso rispetto a quello di un anno fa, con cui ci presentammo a conoscere il nuovo direttore. Reputammo all’epoca che per presentarci per la prima volta a Sandro Gilioli, che come ha scritto in un bell’articolo Internazionale «è l’uomo a cui Radio Popolare ha affidato una missione: contrattaccare, ritirando fuori quella combinazione tra nerbo della sinistra più indipendente, pragmatica milanesità, cattiveria culturale e sincera, quasi rabbiosa voglia di dialogo con la società che l’emittente conserva ancora», servisse un minimo di formalità; così arrivammo splendidi splendenti in giacca e camicia, anche se, allora come oggi, in città c’era una temperatura folle, simile a quella narrata da Gabriele Salvatores nel film Kamikazen. La mossa non servì a molto anche se alla fine strappammo un altro anno di collaborazione autoprodotta che vista con il senno di poi non era tanto male. Oggi però Gilioli è in ferie e l’appuntamento è con l’amministratrice delegata della radio per capire se ci sono o meno i termini per aprire una trattativa e restare a bordo per l’ottava stagione consecutiva sulle frequenze FM di Via Ollearo, con PopUP o con altri programmi. Entriamo così nell’ufficio presidenziale e troviamo l’amministratrice delegata al telefono, intenta a scrivere al pc, con l’iPhone incastrato tra orecchio e spalla: «Sì, okay, e di Draghi che mi dici? Ah, secondo te non cade». Perché sì, probabilmente, come Enrico Letta (che prima di entrare alla Camera alla stampa ha dichiarato: «Sono sereno, oggi sarà una giornata bellissima»), anche l’interlocutore telefonico dell’amministratrice delegata è ancora all’oscuro che in quello stesso momento a Villa Grande, sull’Appia Antica, nel quartier generale berlusconiano, si sta consumando una congiura che alla fine della giornata risulterà fatale. E probabilmente, come Enrico Letta, anche l’interlocutore telefonico dell’amministratrice delegata non sa che anche questa volta una dimora di Berlusconi segnerà un importante epilogo di uno snodo della politica italiana, nonostante gli abeti e gli oleandri di Villa Grande siano immensamente meno appariscenti e nemmeno lontanamente paragonabili ai fasti di Villa Certosa, che come ha scritto Filippo Ceccarelli su Rep «fu un compiuto incrocio di Versailles e Wonderland», oltretutto coperta nei primi anni 2000 dal segreto di Stato. Detto questo e sorvolando sui dettagli della riunione diciamo, in estrema sintesi, che l’atteggiamento della radio per trattenerci non è al momento propriamente il whatever it takes di draghiana memoria e che in soldoni tutto è rimandato, ancora una volta, al rientro di Gilioli dalle ferie, anche se a dirla tutta il commiato somiglia, tanto per citare un altro premier in uscita, all’hasta la vista, baby! tratto da Terminator 2 pronunciato da Boris Johnson nel suo ultimo discorso al Parlamento inglese. Staremo a vedere.

 

Entriamo così nell’ufficio presidenziale e troviamo l’amministratrice delegata al telefono, intenta a scrivere al pc, con l’iPhone incastrato tra orecchio e spalla: «Sì, okay, e di Draghi che mi dici? Ah, secondo te non cade». Perché sì, probabilmente, come Enrico Letta anche l’interlocutore telefonico è ancora all’oscuro che in quello stesso momento a Villa Grande, nel quartier generale berlusconiano, si sta consumando una congiura che alla fine della giornata risulterà fatale

 

Ore 23.00. International Anthem è un’etichetta jazz di Chicago con una spiccata attitudine punk che ho conosciuto qualche anno fa grazie alla sapienza del mio amico Marco Monaci, fido pusher di vinili, che un giorno da Volume (all’epoca ancora in Santeria in via Paladini a Milano), mentre ritiravo un triplo pazzesco del batterista Makaya McCraven intitolato Universal Beings, mi disse: «Ti consiglio di ascoltare anche questo di una trombettista newyorkese che pubblica per la stessa etichetta di Makaya, si chiama Jaimie Branch».

 

 

Da quel momento in poi la label fondata da tre personaggi che rispondono ai nomi di Scott McNiece, David Allen e Dave Vettraino è diventata la mia preferita in assoluto ed è proprio per questo motivo che stasera ho deciso di suonare solo dischi targati International Anthem alla festa di compleanno di Ginevra, che ha voluto assolutamente che aprissi la serata a Ralf al Pac di Milano per quello che sicuramente sarà il party dell’anno. Ginevra e Alessandro, coppia inossidabile dal 95, fanno parte della mia prima compagnia storica dei tempi del liceo Volta, insieme a Dodo, Nosama e altri che si sono persi per strada con il tempo, quindi non potevo esimermi quando Ginevra mi ha chiamato e mi ha chiesto: «Andre, al mio compleanno al Pac suona Ralf, sarebbe fighissimo se fossi tu ad aprire la serata». «Ma certo», le ho risposto, «se c’è Ralf vengo dappertutto e poi, bella, amo pazzamente le tue feste di compleanno, ne ricordo una favolosa al Chinese Box in Moscova, e poteva essere il 2007 o il 2008, dove riuscii a scardinare le resistenze di una figa di legno particolarmente ostica e il giorno dopo avevo anche un’esame all’Università. Una serata entrata nella leggenda».

Così ora eccomi qui, tutto vestito di lino, con indosso una camicia hawaiana a fiori, che sorseggio un gin tonic, pronto a mettere il primo vinile sul piatto e far partire le danze. Non metto i dischi a una festa, trasmissioni radio escluse, dal 20 giugno del 2015, da quando ho fatto il deejay per il matrimonio di Nicola Reggio e Elena Manzini al Castello di Lerici e a dirla tutta, cari regaZ, devo ammettere che sono piuttosto emozionato. Ho deciso di iniziare con un pezzo intitolato, ça va sans dire, Ofelia, tratto dall’album di un certo Daniel Villareal, un batterista, DJ e compositore panamense-americano che ha composto un disco intitolato Panama 77 che è un viaggio fra psichedelia, cumbia, afrobeat, jazz e latin-funk. Il resto della serata è spaventosamente in discesa perché in fondo mettere i dischi è la cosa più bella del mondo e per chiudere il mio set prima che arrivi Ralf mi concedo un brano dall’ultimo dei Kings of Convenience, che ho comperato settimana scorsa in un negozio di vinili all’Ortigia che si chiama Malamore. Poi arriva Ralf, e sono baci e abbracci e gli occhi mi si illuminano quando vedo che alza la puntina, ferma il piatto, toglie il vinile dei Kings of Convenience, lo rimette nella copertina, ne afferra uno dei suoi, lo piazza sul piatto, preme START e posa la puntina, prima che in pista si scateni il delirio. Così non mi muovo dalla console per tutta la notte perché voglio stargli vicino e quando gli altri mi vedono voglio che pensino quello che pensavo io da sbarbo quando vedevo Valentino Rossi al Titilla che parlava con Ralf tra un disco e l’altro, e noi tutto invidiavamo Valentino non perché era il più grande pilota di moto del mondo e aveva già vinto tipo tre o quattro mondiali ma, semplicemente, perché poteva stare vicino Ralf tutta la notte. La festa di Ginevra è indiscutibilmente una bomba e mentre mi perdo a osservare un tavolino basso al centro della stanza, probabilmente un Cassina, noto due posacenere stracolmi, anche se sarebbe vietato fumare, tre bottiglie vuote di Möet, i resti di una canna, una confezione di preservativi e un involucro di stagnola, in console sale Ginevra, con un flûte di champagne in mano e sento che mi urla: «Ehi Andre, ma quello che hai al polso è uno scuba?».

L'anniversario di Carlo Giuliani, la caduta di Draghi e i compleanni di Ginevra: il racconto della settimana
A caccia di vinili a Ortigia.

 

20 luglio 2007. La serata inizia con una cena in un appartamento in zona Stazione Centrale poco distante dal celeberrimo Istituto Studium per disadattati liceali di lusso che ho frequentato con pessimi risultati qualche anno fa. Sistemati attorno a un tavolo in doppia coppia mangiamo pesce e beviamo vino bianco con il vecchio compagno d’attacco Dichio e due pu-pulzelle sue amiche di chat che ha conosciuto da poco. Le ragazze sono super in tiro e il loro look contrasta decisamente con il nostro abbigliamento super informale, con lui in Converse e pantaloncini a scacchi da golfista e io, alla Nino d’Angelo, in jeans e una maglietta. Un’antica amicizia mi lega al vecchio compagno d’attacco Dichio, fin dai tempi in cui me lo ritrovai nella stessa classe di un piccolo Istituto privato per delinquenti durante il devastantissimo anno scolastico 1997/1998. Un’infinità di serate, di mattine e pomeriggi, di droghe, acidi, solenni sbronze, tra devastazioni di appartamenti a Cannes, vacanze a Barcellona, Londra, Santa Margherita Ligure, nottate anfetaminiche a Les Folies de Pigalle, la maturità al Parini in versione civico liceo serale nel 2002 e poi ancora il teppismo, la violenza, gli atti vandalici e la questura in Fatebenefratelli e compagnia bella, penso che ci terranno legati in eterno. Ho sempre pensato al compagno d’attacco Dichio come al personaggio di Cousin Jerry nel capolavoro adolescenziale brizziano intitolato Bastogne, ovverosia in qualcuno capace di tirare fuori il peggio di me in qualsiasi circostanza, portando sempre il tutto oltre ogni limite e spingendo fino all’infezione. Durante la cena la tensione si smolla aiutata dalle cinque bottiglie di vino. Tra una portata e l’altra rollo canne di ganja elettronica ma ben presto si capisce che nell’aria c’è voglia di cocaina e così a mezzanotte sono davanti al Chinese Box in Moscova, al compleanno di Ginevra, a cercare Dodo e Rupert e fatico terribilmente a reggermi in piedi. Quando arrivano andiamo subito in macchina a farci una riga e il colpo che tiro va subito a segno rendendo il tutto immediatamente nitido. La cosa che non ho calcolato però è che lì ad attendermi c’è anche Micol, una ragazza a cui ho fatto un filo tremendo nei mesi scorsi e che dopo una serie interminabile di due di picche ho mandato brutalmente a farsi fottere. Mi sono dimenticato però che stasera, mentre ero a cena, Micol mi ha mandato un sms per dirmi che si annoiava e chiedermi cosa facevo, così, con noncuranza, le ho risposto che sarei andato al compleanno di una mia amica in Moscova e che se voleva mi avrebbe trovato lì. Così a un certo punto la vedo spuntare davanti al Radetzky con indosso un vestito di cotone leggero che lascia le spalle nude ed è proprio in quel momento che decido che la serata deve assolutamente prendere una piega diversa. Sono quasi le due, dopo tre cuba libre a testa, quando Micol mi chiede se mi va di accompagnarla a casa, e io ridendo, le rispondo che al massimo posso accompagnarla a piedi. Poi siamo sotto casa mia in via Tiepolo, e sono quasi le quattro. «Che ne dici di salire?». «Dovrei?». «Guarda che non voglio mica metterti le mani addosso». «Ah, no?». «L’ultima volta non l’ho fatto». «Non l’hai fatto perché quando hai provato a baciarmi mi sono spostata». «Sì, una vera umiliazione. E tu lo sapevi benissimo che mi piacevi e che ci avrei provato, dopo il cinema, il bar Basso, la cena al Mandarin e tutto il resto». «Non so se voglio salire». «Dài, sali».

«Te la sei scopata almeno? Noi abbiamo combattuto per recuperare questa!», dice il vecchio compagno d’attacco, tirando fuori dalle mutande un piccolo involucro di stagnola. Così seguono altre righe fino alle 9 del mattino,  tra racconti di risse, inseguimenti, bottigliate e arresti ai pusher di colore. Dichio ha l’aereo per Londra alle 16. Dodo ha l’aereo per Marbella alle 14. Rupert deve essere alle 11 in galleria d’arte in corso Garibaldi dove lavora e io ho l’appello dell’esame in Festa del Perdono alle due e mezza

Senza aggiungere una parola entriamo nel portone, facciamo le due rampe di scale e siamo su in un battibaleno. Come apro la porta del miniappartamento siamo già attaccati, lei si sfila gli stivali Blundstone, il vestito di cotone leggero e rimane in reggiseno bianco e mutande nere mentre io sono ancora completamente vestito. «Dov’è il bagno, scusa?», mi chiede. «Di sopra», le rispondo, «sulle scale». «Vado un secondo in bagno allora, perdonami». In un amen mi libero dei jeans e della t-shirt bianca e a dire il vero sono così sconvolto che mi tirerei volentieri su un paio di righe ma non ho dietro un cazzo così mi maledico e la attendo sprofondando sul letto mentre il miniappartamento galleggia nel disordine di sempre. Mi rollo uno spino di caramello, Micol entra in camera e mi si siede di fianco, poi iniziamo a baciarci con foga e la stanza non la smette di girare e mentre lo facciamo penso tra me e me: «Forza Andre. Ci tenevi tanto a fartela. Ora te la stai facendo». Alle sei l’accompagno a casa in via Sangallo, ci baciamo umidi e non posso credere ai miei occhi quando torno indietro e vedo che sotto casa mia c’è parcheggiata la focus nera di Dodo e davanti ci sono lui, Rupert e il vecchio compagno d’attacco Dichio, completamente nudo, eccetto per un paio di boxer e delle infradito. «Raga, cosa ci fate qui? Sono le sei e domani oltretutto ho un esame». «Te la sei scopata almeno? Noi abbiamo combattuto per recuperare questa!», dice il vecchio compagno d’attacco, tirando fuori dalle mutande un piccolo involucro di stagnola. Così seguono altre righe fino alle 9 del mattino, con il sole già alto nel cielo, tra racconti di risse, inseguimenti, bottigliate e arresti ai pusher di colore (nemmeno fossero dei Bakayoko qualsiasi). Dichio ha l’aereo per Londra alle 16. Dodo ha l’aereo per Marbella alle 14. Rupert deve essere alle 11 in galleria d’arte in corso Garibaldi dove lavora e io ho l’appello dell’esame in Festa del Perdono alle due e mezza.