Calenda e il bluff del grande centro che di nuovo non ha nulla

Giulio Cavalli
30/07/2022

Per mesi ci hanno detto che il grande centro avrebbe rinnovato l'Italia. Invece Calenda dopo aver dato sfoggio del proprio ego, ha imbarcato gli ex azzurri , scalando Forza Italia senza sforzo. Renzi si siederà al suo posto senza fare capricci. E Letta riuscirà nell'impresa di unire i peggiori trasformismi.

Calenda e il bluff del grande centro che di nuovo non ha nulla

Hanno passato gli ultimi mesi a ripeterci che finalmente il terreno era pronto, dicevano che dopo tanti tentativi miseramente falliti “il grande centro” avrebbe fatto irruzione nel panorama politico italiano e avrebbe fatto sfaceli alle elezioni. Calenda e Renzi su questo sono sempre stati d’accordo: tra il campo largo di Letta, il campo giusto di Conte, il campo di sinistra e il solito campo di destra che non cambia protagonisti e copione, il loro campo era quello di cui l’Italia ha bisogno. Tra i due Calenda si era spinto perfino oltre (superando Renzi per narcisismo) e negli ultimi mesi aveva deciso di auto-assegnarsi il marchio doc dell’unico vero centro inimitabile e possibile. Per mesi il leader di Azione ha imperversato sui social – che maneggia con costanza per sembrare “in mezzo al popolo” senza bisogno di sgualcirsi – ripetendo che il suo progetto fosse talmente cristallino che nessuna alleanza avrebbe mai potuto ingolosirlo. «Noi corriamo da soli», ripeteva Calenda. «Noi corriamo da soli», ripeteva Renzi (che però in uno spiraglio da Calenda ci sperava in fondo in fondo).

Calenda e il grande centro che di nuovo non ha nulla
Matteo Renzi (Getty Images).

Anche Renzi si siederà al suo posto senza fare più capricci (per ora)

Poi è caduto Draghi. Come sia caduto non c’è nemmeno bisogno di ripeterlo perché questi primi giorni di campagna elettorale sono la scia lunga della fine precedente, anche se non si scorge l’araba fenice ma sembra più un ruzzolare tra macerie. Appena caduto il governo dalle parti di Italia Viva si è acceso un fremito che qualsiasi osservatore ha potuto annusare come un irrefrenabile bisogno di accasarsi e così Renzi e la sua combriccola hanno adottato la tecnica passiva aggressiva. Oscillano tra «il Pd non ci vuole» e «il Pd non ci sta bene e non lo vogliamo» in un fluttuare di dichiarazioni da giramenti di testa che ogni giorno si accavallano. Ovviamente le trattative, quelle vere, rimangono riservate ai componenti della chat di Whatsapp più ristretta perché, si sa, la politica da queste parti è più la narrazione di ciò che si ha bisogno di far accadere che un franco posizionamento leale con gli altri partiti e con i proprio elettori. Enrico Letta, sfiancato da una campagna elettorale che si preannuncia un inno all’egomania, ha tolto il veto a Renzi e Italia Viva. Ora Renzi cincischierà un po’ e infine si siederà al suo posto senza fare più i capricci (per ora).

Calenda e il grande centro che di nuovo non ha nulla
Carlo Calenda con Mariastella Gelmini e Mara Carfagna (da Instagram).

Calenda nuovo faro degli ex berlusconiani

Carlo Calenda, bisogna riconoscerlo, almeno è stato lineare. Come no. Dopo avere detto che c’era bisogno di una forza nuova sul panorama politico ha cominciato a imbarcare il meglio (secondo lui, altri la vedono in maniera opposta) di Forza Italia, da Gelmini a Brunetta e a Carfagna. Gli ex berlusconiani rilasciano interviste in cui esultano perché si sentono finalmente a casa e Calenda li accoglie come figlioli prodighi. Una scena commovente che nei fatti appare una scalata a Forza Italia senza nemmeno la fatica di doversi tesserare, svuotandola dall’interno. Letta così riesce nella miracolosa operazione di prendere il peggior trasformismo del Movimento 5 stelle (con Di Maio novello Churchill) e il peggior trasformismo di Forza Italia liberandosi però di quegli scomodi simboli. In un’epoca di giornalismo sincero leggeremmo in giro che stiamo assistendo, dopo la legislatura con il peggior opportunismo, alla campagna elettorale più funambolica che si potesse immaginare. Invece niente. Ma il punto più interessante riguarda il “grande centro”. Il “grande centro” che giurava di avere imparato a camminare con le proprie gambe anche questo giro adotta la solita strategia: si è attaccato alla sottana degli altri, si farà eleggere con i loro voti e infine li accuserà di essere troppo poco di centro. E quegli altri per l’ennesima volta ci sono cascati, ancora.