Dei relitti e delle pene
Dopo l'indignazione mordi e fuggi per le immagini di Santa Maria Capua Vetere, le carceri torneranno a essere quello che sono sempre state: una discarica sociale in cui il Paese butta di tutto. Calpestando i dettami della Costituzione.
Quando hanno visite dall’esterno, di estranei, che non sono i colloqui con i famigliari i detenuti quasi scivolano sul pavimento di linoleum verde. Hanno scarpe pulitissime, salve dalla polvere dell’andare in giro, di marca comune come tutto ciò che indossano perché dentro le griffe non sono ammesse per evitare disparità gerarchiche basate sull’ostentazione. Niente oggetti di lusso, al limite orologi di plastica. Le vestaglie di seta sono state inventate da qualche film americano che in Italia non va sugli schermi da decenni. La pelle diventa liscia, la grinta e l’arroganza sono tenute in disparte: la testa si abbassa, il cuore si gonfia e appena si è soli le lacrime non possono non scendere. Si vorrebbe essere da un’altra parte, qualunque essa sia; aver fatto qualunque mestiere, il più duro, ma non è più possibile farlo.
Dietro le sbarre i dettami della Costituzione sono diventati fantasmi
Per spiegare davvero cosa sia il carcere, uno dovrebbe essersi fatto un po’ di galera, sul serio non come succede per finta, sempre nei film americani. Ma poi nemmeno questo basterebbe perché ognuno tenderebbe a raccontare le proprie prigioni, con troppi elementi personali e pochi di carattere e utilità generale. Nel Paese che fu di Cesare Beccaria, Dei Delitti e Delle Pene rimangono i relitti dalle pene: ciò che il sistema carcerario restituisce degli esseri umani che siano entrati nelle sue spire. Dopo essersi fatto un lungo giro, attraverso i penitenziari della Penisola, ci si renderebbe conto che i dettami della Costituzione – ravvedimento, rieducazione, reinserimento, trattamento umano – sono diventati fantasmi: 54 mila detenuti contro una capienza di 46 mila, 120 detenuti ogni 100 posti disponibili. 2700 donne recluse e 60 bambini che vivono con loro. 70 mila bambini che ogni anno entrano in carcere per poter incontrare madri e padri detenuti. 20 mila stranieri dietro le sbarre. 9 mila detenuti nei gironi infernali dell’alta sicurezza. 1.700 reclusi all’ergastolo. 2 mila detenuti che restano in carcere per scontare meno di un anno di galera.
Ogni discorso politico sul carcere è inquinato dalla propaganda
Che in carcere non ci vada nessuno, che nessuno sconti la pena, è solo una balla. Verità per i veramente potenti, per chi si possa garantire nutriti e instancabili collegi difensivi. Per i più, per i più fragili, il carcere è il paese della sofferenza: una nazione abitata dagli zombie, buoni più a niente, per la società e per se stessi. Nel carcere non si vive facile, dal carcere non si esce facilmente. Molti ci escono fisicamente da morti. Molti, nonostante la liberazione, mentalmente non ci usciranno mai. Quando si parla di carcere, spesso, lo si fa con conoscenza scarsissima, soprattutto da parte della politica: la si butta in caciara, si fa propaganda invece di parlare dei problemi reali. La normazione penale è pervasiva, invade e si impossessa di settori che avrebbero bisogno di altre attenzioni, troppe violazioni minime che portano al carcere, alle quali si potrebbe porre rimedio con sanzioni diverse.
I danni del facile ricorso alla carcerazione preventiva
Una carcerazione preventiva lunghissima – con noi che critichiamo l’Egitto per Zaki – che lascia segni indelebili su un 29 per cento di soggetti che saranno prosciolti o assolti: 200 mila persone dichiarate innocenti dalla fondazione della Repubblica. Due milioni di individui dal Dopoguerra a oggi sono finiti in carcere, coinvolgendo i loro affetti. Milioni e milioni di italiani hanno avuto a che fare e avranno a che fare con le loro prigioni. Pochi ne sanno veramente qualcosa: in carcere si sta stretti, e il disagio è dei detenuti e anche degli operatori di polizia, di tutti quelli che per lavoro o coscienza lo frequentano quotidianamente. La misura della civiltà del Paese è in perenne curva discendente, le casistiche di buoni esempi allocano ai margini, diventano eccezione mai regola. Un sistema civile non si può affidare alla buona volontà, deve avere in missione il rispetto costituzionale, se la Costituzione ha ancora valore, se sta al vertice della gerarchia legislativa.

Santa Maria Capua Vetere e l’indignazione di facciata
La maggior parte delle detenzioni è prodotta dal multiforme mondo della droga che mischia lo spaccio alla dipendenza e risolve, per modo di dire, contraddizioni sociali scaricandole nel posto sbagliato. Perché il carcere è sempre più una discarica sociale che tiene, e non dovrebbe, criminali per scelta e inciampi di vita, arroganza e disperazione, ambizione e malattia. 134,50 euro costa giornalmente ogni detenuto, la moltiplicazione per il totale rende evidente quanto si potrebbe fare in chiave preventiva, con indirizzi economici mirati. Quanti si salverebbero dal carcere, e quante vittime sfuggirebbero ai propri aguzzini, se invece di pensare alla repressione si investisse su una prevenzione sociale. Quanto la gente fuori vivrebbe con meno paura e minori prigioni mentali se conoscesse a fondo il sistema carcerario, se conoscesse fisicamente le storie dei detenuti, il loro reale spessore criminale. Invece il carcere è un esorcismo che si tiene lontano, che la politica allontana da sé, che si allontana dalla Costituzione. Entra nelle case degli italiani in occasioni particolari, come ora che le immagini crude di quanto successo nella prigione di Santa Maria Capua Vetere spopolano nei tigì: dureranno il tempo di un’indignazione di facciata. Spariranno divorate dalla quotidianità, dall’ipocrisia. Il carcere, contro la Costituzione, tornerà a essere una discarica sociale in cui il Paese ci butterà di tutto.