In Rai l’ansia da abolizione del canone non sembra dilagare. Tutt’altro. «Non lo toglieranno mai. Hanno bisogno di un salvadanaio comunque bello carico per fare contenti amici e clientele», allargano le braccia a Viale Mazzini con i toni del disincantato sarcasmo tipicamente romano. In effetti la battaglia ormai storica della Lega di Matteo Salvini per cancellare il balzello da 90 euro l’anno sembra destinata a infrangersi contro l’opposizione degli alleati di centrodestra che, per motivi differenti, avversano l’idea di una Rai affidata totalmente al mercato.
Salvini gioca da solo: FdI non molla la presa sulla Rai e Fi tutela gli interessi di Mediaset
Sia Fratelli d’Italia che Forza Italia puntano infatti alla “fiscalizzazione” del canone, a caricarlo sull’erario. Passaggio che consentirebbe al partito della premier, casomai ce ne fosse bisogno, di aumentare ulteriormente la presa dello Stato (e della politica) sulla tivù pubblica, mentre permetterebbe ai forzisti di tutelare Mediaset. «In fondo in ballo c’è il nuovo asse Meloni-Berlusconi che si proietta sullo scenario europeo e che Salvini vorrebbe contrastare», riflettono con Tag43 fonti parlamentari di maggioranza che chiedono l’anonimato. Ecco che la battaglia sul canone esce fuori dal perimetro degli affari televisivi e si proietta sul dossier in prospettiva più scottante: quello degli equilibri nel centrodestra in vista delle elezioni europee del 2024.

Mercato pubblicitario in affanno: nel 2022 investimenti per 3,9 miliardi, il 4,5 per cento in meno del 2021
Intanto, però, il Capitano parte da una posizione che se da un lato fa breccia in un’ampia fetta dell’opinione pubblica e gli garantisce un dividendo in termini di consenso politico, dall’altro è chiaramente minoritaria nell’area della maggioranza e velleitaria dal punto di vista dei rapporti tra Rai e partiti. L’impegno della Lega rimane quello di abbassare gradualmente il canone e di abolirlo da qui a un quinquennio. Ma il vento tira in direzione opposta e lo si è capito una volta di più dalla presa di posizione di Giampaolo Rossi, nuovo dg della tivù di Stato, uomo chiave di Meloni a Viale Mazzini e, salvo sorprese, prossimo ad nel 2024: la Rai «ha il canone più basso d’Europa, quindi con la capacità di investimento direttamente proporzionale alle risorse economiche». Forza Italia fa sponda e con Maurizio Gasparri ha bocciato i propositi leghisti, predicando piuttosto un taglio degli sprechi e un’ottimizzazione dei costi. Ma è chiaro che c’è in gioco la tutela di Mediaset, come da accordi tra Meloni e la famiglia Berlusconi. Senza canone, infatti, la Rai potrebbe entrare con tutti e due i piedi nel mercato pubblicitario, togliendo una bella fetta di torta alle televisioni dell’ex premier. Torta che peraltro si sta restringendo: secondo i dati Nielsen, infatti, il settore radiotelevisivo ha totalizzato nel 2022 investimenti complessivi per 3,9 miliardi di euro, in flessione del 4,5 per cento rispetto all’anno prima. Stando alla tivù, nel dettaglio, Mediaset ha beneficiato di una raccolta poco sotto 1,98 miliardi di euro (-3,2 per cento), la Rai è a 703,7 milioni circa (-7,5 per cento), Sky Italia-Comcast a 403,6 milioni (-14,3 per cento), Warner Bros.-Discovery Italia a 267,6 milioni (+0,9 per cento) e La7-Cairo a 171,8 milioni (-2,8 per cento). I volumi complessivi del mezzo, inoltre, sono ancora negativi di circa 70 milioni di euro rispetto ai valori pre-Covid.

La proposta di Cairo: premiare le reti che offrono servizio pubblico
Dall’altra parte il canone Rai vale circa 1,8 miliardi di euro. A Viale Mazzini ne arrivano oltre 1,6 miliardi, poco meno del 90 per cento di quanto transita dalle bollette degli italiani all’Agenzia delle Entrate. Ma la tivù pubblica non può farne assolutamente a meno, visto che si tratta di circa il 70 per cento delle sue risorse, a fronte di un fatturato complessivo di 2,7 miliardi di euro e una posizione finanziaria del gruppo in rosso di 650 milioni. Rossi è molto vicino alla realtà quando dice che il canone Rai è contenuto, ma non è vero che è il più basso d’Europa. I 90 euro pagati dagli italiani sono meno della media Ue che è di 125 euro, ma in Grecia si pagano appena 36 euro. Mentre Paesi come Olanda o Spagna adottano già il modello che piace a Fdi, ossia quello del servizio pubblico televisivo sostenuto dalla fiscalità generale. L’impopolarità del canone, comunque, non è legata tanto alla cifra quanto alla qualità del servizio che gli italiani ritengono di ottenerne in cambio. La politica in tutti i casi continua ad accapigliarsi sulla sua abolizione o meno. Nel frattempo, qualcuno immagina di separare la coppia stabile canone-Rai e di premiare con contributi pubblici programmi e progetti di broadcasting televisivo che, a prescindere dal proponente, rispondano ai criteri del servizio pubblico. Magari evitando le distorsioni che oggi caratterizzano le sovvenzioni alle produzioni cinematografiche. Non a caso, anche l’editore de La7 Urbano Cairo si è fatto avanti: «C’è in questo mercato una tivù di Stato importante come la Rai che riceve un canone per fare servizio pubblico e potrebbe essere giusto che anche televisioni come La7 e altre abbiano una piccola parte, che testimonia che si fa servizio pubblico».

I nodi verranno al pettine con la prossima legge di Bilancio
I nodi nel centrodestra verranno comunque al pettine a partire dalla prossima legge di Bilancio. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, leghista ma tutt’altro che salviniano doc, ha confermato che il canone sarà tolto dalla bolletta della luce, come chiede la Ue che non accetta nel conto dell’elettricità oneri impropri e non legati all’energia. La misura era stata voluta nel 2015 dal governo Renzi per combattere l’evasione e in effetti appare improbabile adesso un ritorno al caro, vecchio bollettino che aveva generato un buco di oltre mezzo miliardo. Ma il finale sembra già scritto. E da Mazzini sentenziano: «Ora che Meloni si è presa la Rai, figuriamoci se toglie soldi alla tivù di Stato. Salvini può mettersi l’animo in pace».