Walter, figlio secondogenito di Francesco Schiavone, boss dei Casalesi detto “Sandokan“, ha deciso di collaborare con la giustizia: ha fatto le prime ammissioni nell’ambito del processo sul racket della mozzarella, relativo all’imposizione dei prodotti caseari ai negozi e ai supermercati dell’agro aversano, parlando di agevolazioni sui prezzi per gli uomini del clan dei Casalesi. Nell’udienza preliminare che si è tenuta ieri davanti al gup del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (provincia di Caserta), Schiavone è intervenuto in video collegamento dal carcere in un sito protetto, confermando, dopo una domanda del suo avvocato, che alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli sta parlando «anche di altro». La prossima udienza del processo si terrà il 17 dicembre.
Walter Schiavone, il racket della mozzarella
Come riporta Cronache di Caserta, Walter Schiavone avrebbe evidenziando alla Dda partenopea che gli introiti delle estorsioni sulle mozzarelle servivano per mantenere i familiari e le persone vicine al clan ristrette al 41bis. Gli uomini di Schiavone avrebbero obbligato i caseifici delle penisola sorrentina a vendere in via esclusiva i loro prodotti ad aziende legate ai Casalesi, che a loro volta li avrebbero poi distribuiti in regime di monopolio nella stessa penisola e nella zona di Aversa.
Walter Schiavone, pentito come il fratello Nicola
Il 40enne Walter Schiavone (già arrestato nel 2017) era stato raggiunto lo scorso 10 giugno da un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito delle indagini sul racket della mozzarella: come emerso dalle indagini era proprio lui, entrato in un programma di protezione dopo il pentimento del fratello Nicola, a dirigere le operazioni criminali. Come detto, Walter è il secondo figlio di “Sandokan” a pentirsi dopo il primogenito Nicola, ex boss che sta continuando, con le sue dichiarazioni, a svelare retroscena di fatti di sangue e accordi tra politici e camorra, provocando numerosi arresti. Gli altri tre figli di Francesco “Sandokan” Schiavone, Ivanohe, Libero Emanuele e Carmine, non hanno chiesto il programma di protezione per collaboratori di giustizia.