Caminito e Bajani, stregati senza Strega?

Laura Gotti
01/05/2021

L'acqua del lago non è mai dolce e Il libro della case, forse non vinceranno il premio ma restituiscono finalmente potere alle parole.

Caminito e Bajani, stregati senza Strega?

Ci sono due libri quest’anno nella dozzina dello Strega che il premio non lo vinceranno mai ma che hanno una forza dentro, quella delle parole, che non passerà inosservata ai quei lettori che continuano a cercare nei libri. Giulia Caminito con L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani) al suo terzo libro, e Andrea Bajani con Il libro della case (Feltrinelli) le cui uscite libresche sono una delle mie attese preferite negli anni, sono due romanzi per tutti quelli che “io la letteratura italiana non la leggo”, per quelli che “le scrittrici italiane dopo la Morante non sanno scrivere” o, nel caso di Bajani, “ma se i libri non hanno una trama lineare, senza conflitto sono deboli”. Come se la nostra vita non fosse già piena di conflitti, e non ci dannassimo ogni giorno per risolverli, ogni attimo nella nostra testa e quando mai poi l’eroe vince sempre.

Caminito e la fatica di vivere

Nel primo si racconta di una vita complessa, di Gaia, personaggio immaginario, spinta dalla madre verso un riscatto sociale attraverso la cultura, lo studio e che non ha un lieto fine dietro l’angolo – quello a cui eravamo abituate noi, bambine di un’altra epoca, lettrici di favole adesso bandite, perché mica si può far di una principessa un modello per una bambina. Nemmeno concepisce il lieto fine, da ottima figlia di una storia diversa. Poi c’è la madre, Antonia, tenace, ferrea, coriacea, che non dà spazio ai suoi sentimenti in una vita di lavoro per mantenere la famiglia, il marito disabile, i figli, tanti, e per cercare di sopravvivere a una povertà che le serie televisive ci hanno fatto dimenticare, insieme alla vita luccicante di Instagram dove non c’è mai spazio per il buio, o la fatica o il pensiero che non sia dominante, comune, vacuo. Giulia Caminito racconta con una scrittura tagliente, precisa, che ti stupisce arrivi da una giovane donna che ha saputo misurare il dolore. È stata paragonata alla Ferrante, ma la Ferrante è lontana e Lena ci credeva davvero a quel tanto raccontato riscatto sociale, e ci arriva, mentre Gaia giunge a una nuova consapevolezza di sé, a un equilibrio scaturito dal dolore ben lontano dall’essere un riscatto.

Tutte le case di Io

Nel secondo romanzo c’è Io, lettera maiuscola, nemmeno un nome dietro il personaggio, nemmeno Bajani stesso che si distacca dalla sua vita utilizzando i pronomi personali, che racconta i luoghi in cui ha vissuto, in cui si è consumata la sua vita, in cui ha amato o dimenticato. La vita di Io che è trascorsa anche in quella cabina telefonica dove hai fatto quell’ultima telefonata, ricordo di anni che non esistono più e che forse mai sono stati, quella sigaretta spenta sulla plastica, quelle parole che uscivano a stento, o troppo veloci insieme alle lacrime, ecco quello forse non è un luogo in cui abbiamo vissuto? In cui la nostra vita ha preso una piega diversa, in cui si scatena il conflitto come direbbero quelli bravi, e Io (o tu, o noi) non ha certo pensato a come continuare la trama ma ha trascorso minuti a cercare di capire, o forse no, è andato avanti, come sempre, come che altro rimane da fare? E ci sono anche le case degli altri, la casa di Prigioniero, 1978, dove è facile capire quale pezzo di storia irrompa nella storia, quando Bajani si immagina Aldo Moro chiuso nel suo spazio stretto da prigioniero mentre scrive su fogli bianchi le lettere che poi noi leggeremo in un altro mondo. Sono entrambi libri che scavalcheranno il tempo di un premio letterario e che verranno ripresi in mano, per parlarne a quell’amica che sai tu o per scriverne pensieri che non vuoi che si disperdano.