Milano, Venerdì 17 giugno. Alla festa di una scuola di scrittura alla quale siamo stati chiamati a trasmettere io & Alb, il mio socio radiofonico, c’è tutta la scena letteraria che conta. Ci sono tre/quattro premi Strega, un paio di Campiello e una decina di giovani esordienti di belle speranze, oltre ovviamente a un nutrito numero di uffici stampa di case editrici che bevono vodka tonic in compagnia di uno stuolo di critici culturali a cui sono obbligati a leccare il culo per sopravvivere. Lo spazio scelto quest’anno per celebrare la festa è ancora una volta un luogo ex industriale su tre piani contornato da un enorme giardino di 5000 metri quadrati che, si vocifera, sia stato acquistato da un misterioso uomo d’affari lussemburghese e pagato con soldi iracheni riciclati dall’Ungheria. Anche se probabilmente sono tutte frottole e tutto è avvenuto regolarmente attraverso la vincita di un bando. Dalla mia postazione riconosco le facce di Walter Siti, Antonio Scurati, Giorgio Fontana, Tiziano Scarpa, Marco Rossari, Alessandro Bertante, Eleonora Marangoni, Alessandro Piperno, Jonathan Bazzi, Irene Graziosi, Luca Sofri, Giacomo Papi, Daria Bignardi, Nicola Lagioia, Fabio Bacà e poi – bum bum bum, uno dopo l’altro – Mathias Enard, Jennifer Egan e Veronica Raimo, con un vestito di Prada e una camicia con il collo aperto, che parla con un ragazzo (che non credo di aver mai visto prima ma che somiglia molto a Francesco Pacifico), probabilmente di quella storia del trapper romano che stava per morire ammazzato dopo aver ingerito un micidiale cocktail di droghe e pasticche la settimana scorsa.
Dopo un paio di pezzi degli Stones mixati con dei vecchi brani di Elvis e cinque Moscow Mule decido di abbandonare la serata perché tra quattro ore ho un treno dalla Stazione Centrale, destinazione Santa Margherita Ligure, per andare a festeggiare, in barca, il compleanno di Cleopatra
La playlist della trasmissione, ovviamente scelta da me, come al solito è stilosissima e, dopo una serie di dischi totali, che comprendono brani tratti dagli ultimi album degli Irreversibile Entanglements, dei Badbadnotgood, di Little Simz, di Shabaka, di Kamaal Williams e di Kendrick Lamar, chiudo il discorso con un brano sperimentale dell’Exploding Star Orchestra di Rob Mazurek, prima di cedere lo scettro del potere a Barnaba Fornasetti e al suo dj set multicolore. Tutti conoscono Barnaba soprattutto per il marchio Fornasetti, di cui è direttore artistico da oltre 30 anni. Ma non tutti sanno che lui è anche un DJ clamorosamente in gamba che infiamma il dance floor delle feste più esclusive, che le sue serate sono un vero must e che la crème de la crème della Milano bene sgomita, ogni volta, per avere un invito e potervi partecipare. Detto questo, ho conosciuto Barnaba qualche mese fa a un evento pazzesco organizzato dalla sua azienda in un palazzo settecentesco del centro al quale una nota agenzia di PR mi aveva ingaggiato a collaborare, strapagandomi, solo ed esclusivamente perché ero l’It Boy del momento, e se Dio vuole, Cristo santo, lo sono ancora. Poi, dopo un paio di pezzi degli Stones mixati con dei vecchi brani di Elvis e cinque Moscow Mule decido di abbandonare la serata, saltare sulla mia bici e tornare verso casa, perché domani mattina, che poi è tra quattro ore, ho un treno alle sei dalla Stazione Centrale, destinazione Santa Margherita Ligure, per andare a festeggiare, in barca, il compleanno di Cleopatra.
Prima di farci salire a bordo abbiamo dovuto tutti firmare un accordo di riservatezza che vietava l’utilizzo di telefonini e la condivisone sui social di foto della barca, così l’unica immagine di tutto il week-end è uno scatto che ritrae Cleopatra, prima della partenza, attorcigliata all’albero, con il porto turistico di Genova in sottofondo
Paraggi, Sabato 18 giugno. Dato che la barca di Bob, Venilia II, il First 35 Beneteau, è stato messo in affitto per l’intera estate per pagare, almeno in parte, i lavori di ristrutturazione di Gisele 1930 (la peniche sulla quale lui e Cleopatra abitano da qualche mese), per questo week-end siamo tutti sul Dag; uno Swan 77, di amici billionS di Bob, arrivato al largo di Portofino ieri, nel primo pomeriggio. Partorito dalla matita di Germàn Frers e prodotto dal cantiere finlandese Nautor’s Swan, il Dag è uno dei 10 esemplari presenti al mondo e, senza il rischio di apparire venale, il suo valore si attesta intorno alla ventina di milioni di euro. Prima di farci salire a bordo abbiamo dovuto tutti firmare un accordo di riservatezza che vietava, durante tutta la durata del soggiorno, l’utilizzo di telefonini e la condivisone sui social di foto della barca, così l’unica immagine di tutto il week-end è uno scatto che ritrae Cleopatra, prima della partenza, attorcigliata all’albero, con il porto turistico di Genova in sottofondo. Sono salito sul Dag con indosso il mio smoking di Comme des Garçon che avevo su ieri sera al party della scuola di scrittura e quando ho ripreso conoscenza ero così stravolto che, come sia effettivamente riuscito a salire a bordo, rimane una nebulosa di immagini tanto vaghe che anche impegnandomi al massimo, ancora adesso, non sono in grado di classificare. Nel mio stato di confusione mi sono vagamente reso conto, dopo aver trovato in cabina la mia borsa mimetica con sopra scritto in rosso la parola SPACE, che delle cose pratiche doveva già essersi occupato qualcun altro, probabilmente Ofelia, ma ero così rovinato che non sono nemmeno riuscito a ringraziarla, prima di collassare in cabina dopo aver trangugiato una mezza bottiglia omaggio di Perrier-Jouet. Al risveglio avevo gli occhi vitrei e doloranti e solo stringendoli riuscivo a vedere l’oblò, con il vetro offuscato dalla salsedine, e una cesta di frutta fresca e di fiori che sono rimasto per un tempo indeterminato a fissare tetro prima di riemergere intorno alle quattro del pomeriggio e unirmi agli altri. Gli invitati alla festa di Cleopatra, oltre ovviamente a me e Ofelia sono: suo fratello Roffredo e la sua ultima fidanzata bulgara Zorny, l’Arciduca Gio Bartesaghi con la sua nuova fiamma di cui adesso non ricordo il nome, Nicola Reggio e Elena Manzini più gente dell’aristocrazia industriale comasca come il Beppe Mantero e Dino Viganò con due 19enni al seguito, che non mi è chiaro se siano le loro figlie o qualcos’altro.

«Conte», chiama Bob. «Vieni qui». Mi porto una mano alla fronte come per schermare gli occhi dal sole e mi dirigo verso di lui, attraversando incerto il ponte in tek. «Conte, ci chiedevamo dove fossi finito, non ti abbiamo visto tutto il giorno», dice Bob. «Stai bene?». «Beh, mi sono addormentato», attacco. «Stavo aspettando una telefonata per un pezzo che devo scrivere per il Messaggero e… ehm… mi sono addormentato». «È arrivata la telefonata?», domanda Bob, semipreoccupato.
«Oh, sì», dico. «Adesso è tutto okay. È per un libro che tra l’altro si intitola Mare Mosso. Leggerai il pezzo». Segue una conversazione insulsa, battute facili e rapide, quando mi distraggo e vedo Ofelia, di spalle, in piedi, accanto al timone, intenta a scrutare l’orizzonte.
Chissà cosa direbbe il Puny, di questa storia dei camerieri che non si trovano. Davanti al suo ristorante, con le serrande ancora abbassate, ho trascorso da ragazzo una miriade di serate mentre lui, da più di mezzo secolo accoglieva i grandi. E i clienti erano tutti uguali: bisognava aspettare il proprio turno
«Ehi, Bob, ma non ti manca tutto questo?», chiedo. «Caro Conte, per niente, su Gisele sto molto meglio e poi mi ero stufato di armatori cafoni che non vogliono spendere e hanno un sacco di richieste, basta. Ho già dato. Con il mare ho chiuso, ho organizzato questo fine settimana solo per amore di Cleopatra, che ci teneva tanto», dice e poi aggiunge, sornione: «Quando venite a trovarci? Siamo ormeggiati in un posto stupendo». «Verremo Bob, verremo, quando tornerete a Parigi», mormoro, fissando una copia de il Foglio di qualche giorno fa, lasciata con noncuranza sul tavolo in pozzetto. «Dove lo hai trovato?», chiedo, indicando il giornale. «Sarà dell’armatore, è rimasto nella sua casa a Portocervo», dice lui. «Probabilmente lo ha dimenticato. Classica lettura da sinistra al caviale». «Da leggere l’editoriale di Ferrara sui camerieri, lo hai letto?», dico io, fingendo di rabbrividire. «No», risponde. «Comunque ho visto di peggio che Ferrara sui quotidiani ultimamente». «Assolutamente, in ogni modo è un articolo abbastanza edificante che andrebbe fatto leggere nelle scuole e negli uffici di Confindustria, se non fosse così lungo me lo tatuerei sul costato», annuisco e poi gesticolo. Così, mentre siamo in pozzetto, inizio a prendendo il giornale in mano a citargli stralci dell’articolo e in certi casi la sbornia mi passa pure per quanto mi infervoro: “I camerieri e le cameriere andrebbero pagati il doppio di quello che è. Sono benefattori dell’umanità, una professione che meriterebbe il bollo dell’Unesco… tutte quelle ore di lavoro stremante portate con nobiltà d’animo, e i preparativi, a noi largamente ignoti…”. «Praticamente una poesia», dico io, sorridendo. «Ma la gente preferisce stare sul divano e prendere il reddito di cittadinanza, dai Conte, e poi, diciamolo, tu sei di parte, difendi la categoria, e puoi permettertelo anche perché fai queste dissertazioni con il tuo nobile sederino poggiato davanti al golfo di Paraggi, sotto casa di Berlusconi, su una barca che sì e no varrà una ventina di milioni di euro». «Ed è qui che ti sbagli, perché innanzitutto io non sono un cameriere, al massimo un barman, il grande aristocratico della classe lavoratrice, e oltretutto, sulla carta d’identità ho scritto disc-jockey, parlo alla radio tutte le settimane da circa 12 anni. Dico che l’articolo è poesia perché Ferrara ha ragione, ed è giusto che qualcuno lo scriva che i camerieri andrebbero pagati il doppio, altro che chef stellati di questo grande cazzo!!! E sono molto lieto che a farlo sia stato uno dei giornali dove scrivo da circa quattro anni. Se non erro, uno dei primi articoli l’ho scritto proprio qui sopra, completamente nudo e strafatto di anfetamina, con l’iPad sulle ginocchia, cercando di colpire con delle freccette la foto di mio padre, mentre eri di servizio, qualche estate fa, ormeggiato in rada, davanti a Santa». Bob mi fissa sorridendo, poi ci raggiunge Cleopatra con l’ennesima bottiglia in mano di Perrier-Jouet e i discorsi cambiano, facendosi più lieti e la festa prosegue.
Portofino, domenica 19 giugno. Passeggio per la Calata, arrivo in piazzetta e mentre passo davanti a Puny mi domando: «Chissà cosa direbbe il Puny, di questa storia dei camerieri che non si trovano», perché sì, davanti al suo ristorante, con le serrande ancora abbassate, ho trascorso da ragazzo una miriade di serate mentre lui, da più di mezzo secolo accoglieva i grandi. Anche se per lui i clienti erano tutti uguali; reali, industriali, imprenditori, politici, stelle del cinema, dello sport, se il ristorante era pieno, bisognava aspettare il proprio turno, era una regola fissa, e sopratutto non accettava nessuna prenotazione. «Che tipo il Puny», mi ripeto, «peccato che non ci sia più».