«Buongiorno Italia, gli spaghetti al dente, e una cameriera come presidente»: così andrebbe aggiornato la vecchia hit di Toto Cutugno secondo Vittorio Cursano, vicepresidente di Fipe-Confcommercio. «Anche Giorgia Meloni faceva la cameriera e oggi è premier», ha ricordato in un’intervista a Repubblica, additando quel mestiere – «il più cool, il più creativo» – come fucina di talenti a trecentosessanta gradi, in uno dei settori più strategici della nostra economia, la ristorazione. Quando si comincia servendo ai tavoli in trattoria, si può finire servendo il popolo sulla poltrona di Palazzo Chigi, anche se hai solo il diploma del liceo linguistico; difatti quella choosy di Elly Schlein, dottore in legge che da ragazza non ha fatto la cameriera ma la volontaria nella campagna elettorale di Obama, è diventata solo segretaria del Pd.

L’esempio di Giorgia non è sufficiente a convertire i giovani al mito della gavetta in trattoria
Basterà una pur prestigiosa role-model come Giorgia per convincere i giovani a riprendere in considerazione, almeno fra maggio e settembre, il lavoretto estivo più antico del mondo? Cursano lo spera fortemente, visto che fra bar, pub e ristoranti i posti vacanti da cameriere sono 140 mila e a momenti inizia la stagione turistica, e si augura altresì che riforma del reddito di cittadinanza, attuata dalla sua testimonial appena si è insediata al governo, gli dia una mano, anche senza l’emendamento che impone spuntoni anti-scansafatiche sui divani di casa. Ma le aspettative di Cursano potrebbero essere troppo ottimistiche: gli allarmi della Fipe sulla scarsità di camerieri, cuochi, gelatai e pasticceri, risuonano dal 2016, tre anni prima dell’introduzione del Rdc. Troppo pochi candidati, spesso impreparati, non abbastanza abbagliati dal mito della gavetta e ancora ignari che se oggi prendi le comande magari un domani prendi i comandi. Ma allora come oggi, ciò che più allontana masse di giovani dal mestiere di cameriere è il fatto di dover lavorare anche – anzi, soprattutto – nei weekend. E se basta una legge a restringere un sussidio, è decisamente più complicato intervenire sulla settimana così come la conosciamo da duemila anni, con il sabato e la domenica consacrati al riposo da due monoteismi su tre.

I datori di lavoro continuano a pagare poco e male i futuri e le future Meloni
I tempi però sono cambiati. Se cinque anni fa i ristoratori inveivano contro la fannullaggine delle giovani generazioni, così smidollate e cresciute della bambagia da non voler sgobbare il sabato e la domenica anziché uscire con gli amici, oggi, forse ammaestrati dalla pandemia, concedono che tenere al proprio tempo libero e alla qualità della vita non è un’eresia. Anche perché ci vuole un consistente esercito di praticanti dell’arte di Michelaccio per assicura la sopravvivenza di bar e ristoranti. Ma è ancora più difficile di prima persuadere una quota sufficiente di Michelacci a passare i fine settimana in piedi accanto al tavolo con un menù sottobraccio, anziché seduti a sfogliarlo. Inutile attaccare con gli «io, da giovane…» o moraleggiare sull’impigrimento provocato dal benessere e di genitori sempre pronti ad allungare il cinquantone. L’industria del tempo libero, nel Vecchio continente e soprattutto nella vecchissima Italia, ha da tempo superato per importanza quella manifatturiera. Ed è stata costruita intorno ai bisogni sia naturali che indotti dagli under-40. La voglia di divertirsi non solo è stata riabilitata, ma è cosa benedetta, e alimenta il Pil tanto quanto la voglia di lavorare. I ragazzi che affollano i locali il sabato sera fanno girare l’economia (insieme a roba meno legale, nei bagni), e si sentono a posto così. Noi adulti vorremmo tanto che i nostri figli provassero imbarazzo o vergogna accorgendosi che il cameriere che gli porta lo spritz è un loro coetaneo, quando gli unici a doversi vergognare sono i tanti datori di lavoro che, malgrado le rassicurazioni della Fipe, continuano a pagare poco e in nero i futuri e le future Meloni.

Attenzione alla soluzione migranti: a Palazzo Chigi potrebbe arrivare un’ex cameriera nigeriana
A pensarci bene, proprio l’estrema destra dovrebbe salutare con soddisfazione il disdegno della gioventù italiana per il servizio ai tavoli: il presidente del Senato colleziona busti dell’uomo che trovava indegno per l’Italia allevare camerieri e che oggi finalmente vede coronato il suo sogno. Strano che gli eredi spirituali del duce oggi vogliano ripristinare ciò che lui detestava: masse di giovani italiani impoveriti, disposti a trottare con un vassoio in mano sette giorni alla settimana per un pezzo di pane. Sarà comunque difficile realizzare il piano prima dell’estate. Una soluzione d’emergenza sarebbe introdurre nel decreto Salvini sull’immigrazione una clausola che assicura il soccorso e l’accoglienza ai migranti che arrivano già indossando la divisa da cameriere. Ma Lega e FdI la boccerebbero subito: fra 30 anni a Palazzo Chigi potrebbe arrivare un’ex cameriera nigeriana.