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L’oro della Cambogia

La lavorazione della seta ikat è una tradizione millenaria cancellata dalla guerra civile degli Anni 70. Ora un’imprenditrice l’ha riscoperta e lotta perché riviva con le nuove generazioni.

21 Giugno 2021 18:55 Camilla Curcio
la tradizione della seta d'oro in cambogia

In Cambogia, la sericoltura è una delle attività più floride. Non lontano da Angkor, uno dei siti archeologici più importanti del Sudest asiatico, corre quella che gli storici hanno definito l’antica ‘via della seta’, una strada che, tra villaggi e campi di riso, porta agli stabilimenti in cui si mantiene in vita una pratica nata più di mille anni fa con l’impero Khmer. Cioè la lavorazione della seta d’oro, tessuto preziosissimo utilizzato, in passato, per confezionare gli abiti dei membri della casa reale.

Seta d’oro, una tradizione scomparsa 

Tramandata di madre in figlia, la tradizione della seta d’oro ebbe il suo periodo di massimo splendore tra il IX e XV secolo dopo Cristo. Si mantenne in vita per secoli fino a scomparire improvvisamente con l’ascesa dei Khmer rossi nel 1970. Le brutalità del regime e la guerra civile portarono alla morte di un quinto della popolazione cambogiana. Tra le vittime dello sterminio anche molti artisti e artigiani che si rifiutarono di abbracciare la propaganda di Pol Pot e l’idea di una Cambogia che, guardando al futuro, si doveva lasciare alle spalle storia e tradizioni. Insieme a loro scomparve un sapere prezioso. Una cultura familiare che, oggi, è tornata in vita grazie a iniziative come quella lanciata da Sophea Pheach.

seta d'oro e la tradizione della cambogia
La fondatrice della Golden Silk Sophea Pheach (dal sito),

La storia del Golden Silk Pheach

Figlia di un diplomatico, Pheach è la fondatrice del Golden Silk Pheach, un programma nato nel 2002 con l’obiettivo di far rivivere l’arte della tessitura della seta d’oro e aiutare economicamente le famiglie distrutte dalla violenza del conflitto e dallo strapotere del regime. Inizialmente interpellata per prendere parte a un progetto europeo finalizzato a irrobustire l’industria della seta (in particolare, seta bianca importata da altri Paesi), abbandonò tutto per dedicarsi alla rinascita di una tradizione unica e dimenticata. «Durante la guerra abbiamo perso i nostri cari, i nostri concittadini, non volevo perdere anche l’unica traccia di storia cambogiana che mi rimaneva», ha spiegato l’imprenditrice alla Bbc. «Qui godiamo di una speciale biodiversità che incentiva la produzione di questa seta e vantiamo una tradizione tessile secolare. Quando sono ritornata da Parigi, volevo proteggere tutto questo, non potevo lasciarlo morire e ho impiegato più di 10 anni per ricostruire le tecniche nei minimi dettagli». Ricavata dai bozzoli dei bachi da seta dorati, allevati nel Nord della Cambogia e alimentati con more coltivate sul posto, la seta ikat viene lavorata in forma grezza e, successivamente, trattata con una serie di colorazioni naturali preparate con frutti dell’area di Angkor. Per realizzare un broccato, possono occorrere anche tre anni. Una manodopera che, ovviamente, si riflette nel prezzo e nel valore del manufatto: si passa da 3 mila dollari per uno scialle a 50 mila per un arazzo.

Non solo tessitura: un aiuto alle famiglie

Ma riportare l’industria della seta cambogiana al suo vecchio splendore non è l’unico obiettivo di Pheach. Che, col suo progetto, vuole trasferire questa pratica alle generazioni future e, soprattutto, aiutare quelle presenti a sopravvivere dignitosamente. Golden Silk Pheach, infatti, nasce anche come occasione per creare posti di lavoro. A oggi, sono più di 100 gli impiegati che lavorano nelle piantagioni: molte sono donne, numerosi gli orfani rimasti senza una casa, senza una famiglia, senza una fonte di reddito. Giovani ragazzi e ragazze che, in Sophie, non hanno trovato soltanto una datrice di lavoro ma anche un sostegno.

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