Da un arido altopiano lavico in Islanda arriva una nuova tecnologia per affrontare i problemi legati all’inquinamento. L’Università australiana di Sydney ha messo a punto il primo impianto – Dac, Direct Air Capture – capace di assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera e trasferirla nella pietra. Oltre che ridurre le emissioni quotidiane, per salvaguardare l’ambiente è necessario rimuovere quelle già in circolo da anni. Lo afferma l’Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, secondo cui altrimenti potrebbe essere impossibile rispettare gli accordi di Parigi.
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Come funziona il sistema di stoccaggio delle emissioni di CO₂ in Islanda
Per comprendere il funzionamento del dispositivo occorre pensarlo come un grande deumidificatore domestico che, invece di rimuovere l’acqua, opera con l’anidride carbonica attraverso una grande ventola. L’impianto in Islanda intrappola le emissioni di CO₂ in una soluzione liquida sotto forma di sale carbonatico, che viene poi immessa nella roccia a circa un chilometro di profondità. Nell’arco di due anni, tale sostanza, a contatto con il basalto, è in grado di formare un materiale solido.
According to Prof. D'Alessandro's calculations, capturing two years of Australia's CO₂ emissions using afforestation would require an amount of land equivalent to New South Wales' size. "#DAC could do the same with 99.7% less space", she said. Read more: https://t.co/7leZL8n0KK
— Climeworks (@Climeworks) February 2, 2022
Lo stoccaggio sotterraneo è solo l’ultima di varie tecnologie volte alla tutela ambientale, tra cui un sistema in grado di riconvertire vecchie piattaforme per la coltivazione di alghe. Ma il Dac, dal canto suo, può far leva su una migliore logistica. «Piantare più alberi, ad esempio, porterebbe allo stesso risultato, ma richiederebbe una quantità di spazio enorme», ha detto ad Abc Deanna D’Alessandro, professoressa di chimica a Sydney che ha ideato il sistema. «Il DAC invece svolge un identico lavoro usando il 99,7 per cento di spazio in meno».
I principali problemi, dal costo elevato all’impiego limitato
Per quanto il sistema abbia dei vantagi, non è esente dai problemi. Su tutti l’assenza di altri impianti simili nel mondo. Anche se la Terra raggiungesse le emissioni zero entro il 2050, occorrerà rimuovere fino a 14 miliardi di tonnellate di CO₂ all’anno a partire dal 2030. Un numero esorbitante se si pensa che il DAC islandese, il più grande al mondo, ne cattura solo 4000 ogni dodici mesi. Praticamente, come sottolinea Abc, l’umanità annulla il lavoro di un anno dell’impianto in soli tre secondi. «Occorre la nascita di una vera industria di rimozione del carbonio nell’arco dei prossimi 10 o 20 anni», ha detto Daniel Egger, ai vertici di Climeworks che gestisce l’impianto in Islanda.
Proibitivi però anche – e soprattutto – i costi. La stessa Climeworks ha valutato una spesa di 775 dollari per ogni tonnellata di CO₂, prezzo che potrebbe scendere ai 250 dollari entro la fine del decennio corrente. Un dato nettamente più alto rispetto all’utilizzo degli alberi, che portano a un esborso di soli 20 dollari per tonnellata. Sebbene il processo sia solo all’inizio, i finanziatori però non mancano. Audi, Microsoft, Stripe e altre aziende hanno già deciso di investire gran parte di capitale. L’azienda di Bill Gates, ad esempio, ha stanziato 1 miliardo di dollari entro il 2024 per stimolare e sviluppare la rimozione del carbonio.