Si chiama Logica del Beduino e consente di compiere un’approssimazione sul modo in cui le alleanze fra gruppi ultrà si formano. Si fonda su quattro principi: l’amico del mio amico è mio amico, l’amico del mio nemico è mio nemico, il nemico del mio amico è mio nemico, il nemico del mio nemico è mio amico. L’incrocio di questi quattro principi, poche ore dopo il mercoledì bestiale vissuto dalla città di Napoli a margine della gara di Champions league fra il Napoli e l’Eintracht Francoforte, può essere una prima bussola per provare a interpretare la mutevole mappa delle amicizie e inimicizie fra i gruppi del radicalismo calcistico, ma non dice tutto per almeno due motivi. In primis perché non è detto che la dinamica dell’amicarsi e dell’inimicarsi sia così automatica. E in secondo luogo perché esiste un meccanismo di non ritorno nelle amicizie rotte. In questo senso, la storia dei rapporti diplomatici fra gruppi ultrà è piena di inimicizie ferme e di rapporti rovinati senza rimedio, mentre sono rari o nulli i casi di ex inimicizie convertite in alleanze o di amicizie ricomposte dopo una la lite. Nel radicalismo calcistico un nemico è per sempre.

I tifosi del Napoli sono gemellati con quelli del Borussia Dortmund
La novità recente sta nell’internazionalizzazione dei rapporti fra tifoserie. Il calcio si globalizza a tutti i livelli e altrettanto avviene sul piano del tifo e delle relazioni diplomatiche fra i gruppi del radicalismo da stadio. Anche in questo caso la stesura di una mappa è molto complicata e si sovrappone alle amicizie e inimicizie nazionali. Giusto per rimanere al caso del conflitto fra gruppi ultrà di Napoli e Eintracht, entrambe le tifoserie sono alleate con tifoserie nemiche della controparte nel suo territorio nazionale: i tifosi azzurri sono gemellati con quelli del Borussia Dortmund che sono nemici dei tifosi dell’Eintracht, che a loro volta sono gemellati coi tifosi dell’Atalanta che sono nemici dei tifosi del Napoli. E così gli intrecci si alimentano di amicizie e inimicizie al quadrato, che si allargano a macchia d’olio.

Sul web circola ancora un vecchio comunicato emesso 10 anni fa da un gruppo di tifosi del Dortmund, alla vigilia di una trasferta di Champions league a Napoli. Nel testo veniva ribadito l’ottimo rapporto fra le due tifoserie, con invito fatto ai sostenitori tedeschi in trasferta affinché mantenessero un contegno civile, ma veniva sottolineato il legame con un’altra tifoseria italiana, anch’essa amica dei sostenitori napoletani; quella del Catania.

Amicizie nate e legami rovinati: Lazio, Chelsea e West Ham
Di intrecci come questo è piena la geografia del tifo europeo, dunque succede che se una tifoseria affronta una trasferta internazionale, con approdo in un Paese che presenta gruppi amici o gemellati, questi saranno pronti a dare sostegno e man forte. Specie se la trasferta avviene nel territorio di una tifoseria nemica. Inoltre le amicizie possono sorgere all’improvviso e cancellarne di antiche, come pare sia stato nel caso di quella fra tifosi della Lazio e del West Ham, coi sostenitori biancocelesti che per stringere l’alleanza avrebbero rotto quella coi sostenitori del Chelsea.
L’asse dei tifosi dell’Inter con quelli di Nizza e Valencia
La carrellata è complessa. Fra i casi di amicizie consolidate vengono menzionati quelli della tifoseria della Juventus con Ado Den Haag e Legia Varsavia, dei tifosi dell’Inter con quelli di Nizza e Valencia, della tifoseria targata Sampdoria con quella del Marsiglia, dei fan della Fiorentina con quelli dello Sporting Portugal. E ogni amicizia, va da sé, si porta il corredo delle inimicizie incrociate. È l’internazionale del caos e sembra che non vi sia modo per arginarla.

Lo scontro si internazionalizza e diventa incontrollabile
In condizioni del genere, e grazie alla libertà di circolazione che è diritto essenziale di ogni Stato liberale e del super-Stato euro-comunitario, la questione del controllo del territorio rischia di diventare un mito al tramonto per le strutture nazionali d’ordine. Lo scenario napoletano ha dimostrato che un gruppo compatto, numeroso e ben organizzato può muoversi in “territorio nemico” trovando come opposizione soltanto il contenimento di polizia, che a sua volta fa interposizione per evitare che le tifoserie nemiche vengano a contatto e col rischio di rimanere schiacciata dal convergere delle opposte ostilità. Nulla che non fosse già noto a qualsiasi forza di polizia nazionale che faccia i conti coi gruppi del radicalismo calcistico. Con la differenza che adesso lo scontro si internazionalizza e diventa sempre più incontrollabile, perché si scopre che il movimento delle persone e dei gruppi è meno tracciabile di quanto sembrasse.
Il recente raid degli ultrà della Stella Rossa contro la Roma
In questo senso fece scuola il precedente della gara di Europa league fra Arsenal e Colonia del settembre 2017. I biglietti a disposizione dei tifosi ospiti erano soltanto 2.900, e invece a Londra si presentarono da Colonia in 20 mila. Sfilarono liberamente per la città e accesero disordini a bassa intensità. Fu già un gran risultato che in quella circostanza non vi furono conseguenze irreparabili. Ma rimane il precedente, replicato mercoledì scorso a Napoli e col rischio di vederlo riproposto altrove. Tanto più che la questione della non tracciabilità di movimento può dar luogo a episodi meno clamorosi quanto a portata, ma fortemente rischiosi per le conseguenze che possono generare. Il riferimento è in particolare al raid compiuto da un gruppo di ultrà della Stella Rossa di Belgrado a Roma, a febbraio, ai danni dello storico gruppo di ultrà romanisti dei Fedayn.

Questi ultimi si sono visti rubare uno striscione, poi bruciato pubblicamente in occasione della successiva gara in casa della squadra serba. In quell’occasione lo scippo è avvenuto a margine di una partita (quella fra Roma e Empoli, valevole per il campionato di Serie A) che in nessun modo riguardava gli ultrà della Stella Rossa. E ciò è stato stigmatizzato in modo pressoché unanime dai gruppi ultrà (anche quelli storicamente nemici dei romanisti) come un atto che rompe un codice d’onore. Da qui in poi si rischia di passare alla violenza pulviscolare, totalmente imprevedibile e ancor più inspiegabile. Il rischio è alto e la capacità di controllarlo ampiamente deficitaria.