Paura dei Novanta. Di quel decennio in cui il calcio è cambiato nel profondo, cedendo definitivamente il passo all’atletizzazione. La parola d’ordine di quei giorni era “razionalizzare”: la tattica, la preparazione fisica, la prestazione atletica. In applicazione di una logica incrementale che faceva scomparire il senso del limite, o che quantomeno induceva a spostarlo una spanna in avanti. Con tutti gli aiuti del caso, qualora fosse necessario. E se l’aiuto aveva natura farmacologica, nessun problema. A patto che si trattasse di farmaci leciti.

I casi Mihajlovic, Vialli e quella paura forse irrazionale
Il senso di quegli anni fa capolino in questi giorni, se ne legge la filigrana dentro il dibattito cui partecipano i calciatori di quell’epoca, mobilitati all’improvviso da due lutti che scatenano l’inquietudine: quelli di Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli. Stroncati da due mali diversi (leucemia nel primo caso, tumore al pancreas nel secondo), accomunati dalla prossimità temporale dell’evento tragico. E dalla rapida sequenza di eventi è scaturita una paura che è al tempo stesso un sintomo irrazionale e un diritto.

Gli allarmi di Dino Baggio, le flebo di Cannavaro
Il primo a prendere voce è stato Dino Baggio. Che è stato compagno di Vialli nella Juventus e di Mihajlovic nella Lazio, con intermezzo della lunga esperienza al Parma. Proprio la Juve e il Parma di quegli anni si sono trovate al centro dei sospetti, sia pure in tempi e per motivi differenti. La società bianconera fu oggetto di un processo per abuso di farmaci e frode sportiva, che fra assoluzioni e prescrizioni si è chiuso senza danni per gli imputati. Quanto al Parma, alcuni anni dopo i suoi giorni più gloriosi venne colpito da una tempesta mediatica a causa del video in cui Fabio Cannavaro, la sera che precedeva la finale di Coppa Uefa 1999 contro il Marsiglia, si è fatto riprendere mentre si sottoponeva a una flebo di Neoton (sostanza non vietata, va precisato).
L’uso massiccio di integratori e quello “strano” liquido rosa
Memore di quei giorni e sconvolto dalle morti dei due ex compagni, Dino Baggio ha preso a avanzare dubbi sui trattamenti cui i calciatori venivano sottoposti all’epoca. E ha fatto riferimento particolare agli integratori che sono stati somministrati a lui e ai colleghi. Da queste parole hanno preso le distanze colleghi dell’epoca, fra i quali l’attuale commissario tecnico della nazionale Roberto Mancini. Ma da altri che hanno calcato i campi da gioco negli Anni 90 sono giunte preoccupazioni analoghe a quelle di Dino Baggio. È il caso dell’ex attaccante rumeno Florin Raducioiu, che ha parlato di flebo dal liquido rosa (era il tempo in cui giocava nel Brescia) del quale non ha mai capito la natura. A tranquillizzarlo gli è giunta la precisazione dell’ex medico sociale del club lombardo, secondo il quale quelle flebo erano vitamine.

La creatina per recuperare in fretta e aumentare la massa muscolare
E a aggiungere preoccupazioni ha provveduto Massimo Brambati, ex difensore di Bari e Torino, che afferma di avere passato un periodo in cui «si prendeva il Micoren come fossero caramelle» e accenna anche lui all’abitudine di fare le flebo, che per alcuni allenatori erano addirittura indispensabili. Al coro si è unito l’ex difensore argentino Nestor Sensini, passato anche lui dal Parma, oltreché da Lazio e Udinese. Con l’intento di prendere le distanze dall’ex compagno Dino Baggio, Sensini ha finito per confermare la propensione per le diete farmacologiche da parte dei calciatori di quel tempo. Ha affermato infatti che allora ai calciatori veniva fatta assumere creatina per reintegrare più agevolmente le energie e aumentare la massa muscolare. E ha aggiunto di non avere avuto fin qui conseguenze né di temerle.
Una farmacologizzazione che ha coinvolto anche atleti sani
C’è dunque un contagio di paura che nei prossimi giorni potrebbe alimentare altre dichiarazioni da parte di chi ha giocato a calcio da professionista in quell’epoca. Ma al di là dei timori attorno a un tema che potrebbe presto sgonfiarsi con la medesima velocità che lo ha visto impennarsi, rimane un aspetto che proprio a partire da quegli anni si è affermato: la farmacologizzazione del calcio, fatta di ricorso a farmaci leciti ma comunque somministrati a atleti sani con lo scopo di consentire loro di sostenere ritmi sempre più elevati e cicli di recupero sempre più compressi.

La differenza tra salute e fitness: si riapre il dibattito
Si torna a toccare una questione cruciale dello sport di alta competizione: la differenza fra salute e fitness. Che non sono sinonimi, perché la prima è uno stato di benessere o quantomeno di assenza di patologie, mentre il secondo corrisponde alla condizione di adeguatezza alla prova. E poiché per raggiungere una condizione di fitness si può anche adottare pratiche il cui effetto rischia di essere contrario alla salute, ecco che si arriva al punto. La giustificazione che veniva data, sul momento e in seguito, all’uso o abuso di farmaci era che questi fossero leciti. Ma senza che venisse chiarito a sufficienza perché mai i farmaci fossero somministrati a soggetti in salute. Per recuperare dalle fatiche? Certo, ciò che significava rendere artificiale un ciclo naturale, accelerandolo. In nome del sovraccarico di fatica, dell’imperativo a giocare sempre e comunque. E fino a quando è possibile assumere farmaci leciti ma non necessari senza che se ne subisca conseguenze? Ecco il dibattito che dagli Anni 90 viene eluso. Con l’effetto di incrementare la paura e scatenare gli spettri di un passato ignoto.