La crisi del calcio nel libro di Franco Vanni e Matteo Spaziante
Debiti monstre. Gestioni dubbie. Strapotere dei procuratori. I due autori fotografano le debolezze croniche di un sistema che ha abdicato alla sua prima missione: emozionare.
«La pandemia è stato un detonatore che ha inciso sulla situazione economico-finanziaria già esplosiva del mondo del calcio, in Italia in particolare. Ed è stata anche una grandissima scusa: in nome del Covid i club hanno chiesto ristori, sconti e tempo per il pagamento delle tasse al governo. È difficile per un mondo che continua a pagare stipendi da molti milioni ai calciatori pretendere soldi pubblici. Infatti quasi ovunque hanno avuto risposte negative». Franco Vanni, giornalista e co-autore insieme a Matteo Spaziante del libro Il calcio ha perso. Vincitori e vinti nel mondo del pallone edito da Mondadori e uscito lo scorso 18 gennaio non ha dubbi: l’attuale sistema «è un corpo malato, che fin qui è stato incapace di creare anticorpi resistenti e duraturi». E aggiunge: «Si regge sui pagherò, sull’incoscienza di qualche mecenate, sulle scommesse dei fondi di investimento e su dinamiche geopolitiche che poco hanno a che fare con lo sport». Un sistema perdente e che fatica a riformarsi.

Token, Blockchain, eSport e fondi di investimento possono salvare il calcio?
D’altro canto, si chiedono i due autori, «perché le società di Serie A, indebitate per oltre 5 miliardi di euro, continuano a pagare ai calciatori stipendi che non possono permettersi?». E di certo, come viene spiegato in un capitolo dedicato, non ci si può aggrappare all’idea che i campioni ripagheranno i propri ingaggi multimilionari attraverso la vendita delle magliette: il caso di Cristiano Ronaldo alla Juventus docet. Per non parlare dei diritti televisivi, che hanno imposto una parabola su ogni tetto e portato il calcio in tutte le case, sottraendo il pallone alla sua dimensione ‘artigianale’ per trasformarlo in un’industria multimiliardaria, ma sull’orlo del fallimento. E token, blockchain ed eSports, fondi di investimento e stadi di proprietà possono rappresentare davvero una via di salvezza? Nemmeno il Financial Fair Play, introdotto nel 2009 ha dato i risultati sperati. Nato, da una parte per evitare che i club si indebitassero troppo e per evitare fallimenti a catena, e dall’altro per spingere le squadre verso il pareggio di bilancio e creare così maggiore competitività, in realtà in poco più di un decennio, fino al 2020, non è riuscito nel suo intento, tanto che la UEFA ha annunciato di rivedere le norme in modo da limitare ulteriori abusi del calciomercato.

Negli ultimi 12 anni l’indebitamento dei club di serie A è più che raddoppiato
Nel contempo i club continuano a invocare i ristori per le perdite dovute alla pandemia. «Da tempo la Serie A spera di intercettare aiuti pubblici, ma intanto non riesce a far fruttare il patrimonio che già ha. A partire proprio dagli stadi: vecchi, spesso fatiscenti, non progettati per il calcio e di proprietà dei Comuni», spiega Vanni. E ancora: «L’indebitamento complessivo dei club di Serie A negli ultimi 12 anni è più che raddoppiato, avvicinandosi ai 5 miliardi di euro. Le società che bruciavano cassa già prima del Covid con la pandemia si sono trasformate in inceneritori, e hanno persino il coraggio di chiedere i ristori?».
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In tutto questo i tifosi si devono barcamenare tra prezzi rincarati dei biglietti per accedere allo stadio e offerte tv frammentate e lontane dalla qualità sperata. E proprio a loro, «ai tifosi che nonostante tutto ci credono», Vanni e Spaziante hanno deciso di dedicare questo libro. Un libro che parte dalle persone, dunque dai calciatori e da quelli che vengono considerati i veri padroni del mondo del pallone di oggi, i procuratori, per poi passare ai club, arrivare alle istituzioni, come la Lega di Serie A, travolta proprio in questi giorni dalle dimissioni del Presidente Paolo Dal Pino e dalla fumata nera anche per la possibile nomina al vertice del numero uno di Confindustria, Carlo Bonomi.
L’unica ricetta possibile? Lo sport prima del guadagno
«La Lega di Serie A è una sorta di assemblea di condominio molto litigiosa», continua Vanni. «Sono 20 presidenti o manager che dal punto di vista sportivo competono, quindi sono l’uno contro l’altro, e poi dovrebbero sedersi tutti insieme e trovare delle regole condivise che consentano il bene comune dal punto di vista di definizione della spesa e dei profitti del sistema». Il risultato? «È un’architettura molto fragile che si traduce in una governance inefficiente, perché i presidenti delle squadre di calcio, per non rinunciare nemmeno a un briciolo del loro potere, sono sempre stati poco disposti a cedere competenza e possibilità decisionale ai manager». Per il giornalista finché la Lega non si costituirà come società a responsabilità limitata sarà difficile trovare una soluzione. E aggiunge: «Se il calcio continua a vedersi come un’industria – la terza del Paese si dice, ma non è così -, come un sistema produttivo, rischia di perdere il senso per cui le persone continuano a esserne appassionate, ovvero l’essere uno sport corale, in grado di provocare emozioni». Lo scrittore è convinto che sia una visione miope quella di «spremere quanto più possibile i tifosi» e invita i club a rifarsi di più ad altre discipline. «Nel ciclismo c’è un detto: se corri per diventare ricco non vincerai mai il Tour de France, ma se corri per vincere il Tour de France è probabile che diventerai ricco. Lo sport prima del guadagno. Una ricetta semplice. C’è da scommettere che possa funzionare anche per il calcio».
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