Per un pugno di follower

Camilla Curcio
10/06/2021

Inseguire il pubblico, creare contenuti in batteria per i giganti Tech, e sottostare alle regole degli algoritmi ha un prezzo. Così molti giovani tiktoker, instagrammer e youtuber anche di successo vanno in burnout. E decidono di mollare tutto.

Per un pugno di follower

Non è tutto oro quel che luccica. Soprattutto sui social. Conquistare la fama su Instagram o TikTok e trovarsi, da un giorno all’altro, davanti a un pubblico alla continua ricerca di nuovi contenuti può essere straniante. Lo sanno bene i giovani content creator che, partiti dalla loro camera, con tanti obiettivi e poche pretese, si sono trovati catapultati in una centrifuga che li ha portati a fare i conti con pressione, stress, burnout e problemi di salute mentale più o meno gravi.

Il blocco del tiktoker

Passare ore a girare video, montarli, mantenere vivo il rapporto con i fan, programmare contenuti e discutere accordi e partnership con i brand non è così semplice come sembra. Ne è la prova il tiktoker Jack Innanen che, nell’ultimo anno, sta combattendo con il blocco creativo. «Ho l’impressione di raschiare un barile vuoto ormai da un anno», ha raccontato al New York Times. «Sono arrivato spesso al punto in cui mi sono detto ‘Ok, oggi devo preparare un video’ per poi ritrovarmi a rimuginare sulla cosa, senza ricavare nulla di buono e con la paura di deludere tutti». Ma il 22enne canadese non è l’unico a sentirsi così poco ispirato. In una clip dello scorso febbraio, il collega Sha Crow ha parlato senza filtri di quanto si sentisse scarico e giù di morale, raccontando anche le storie di amici che, lavorando sul web, hanno dovuto fare i conti con lo stress di un’esposizione mediatica che li costringe a non tirare mai il fiato e a gestire critiche e attacchi virtuali pesanti.

Burnout da social

Quello del burnout è un problema che, soprattutto con la pandemia, ha toccato quasi tutti i lavori. Certo, c’è chi si è ritrovato senza un’occupazione dall’oggi al domani, ed è tutta un’altra faccenda. Ma anche chi il lavoro lo ha mantenuto, ha accusato i mesi di smart working senza contare le difficoltà di gestire i figli in dad. Non fa eccezione poi chi, con i social, ci lavora quasi 24 ore al giorno. E che, col lockdown, ha dovuto reinventare format e contenuti. Una difficoltà che ha portato molti tiktoker o instagrammer anche di successo a perdere la passione o ad abbandonare tutto. Come è successo alla stella di TikTok Charli D’Amelio che, lo scorso marzo, ha annunciato ai suoi 117 milioni di follower la decisione di chiudere quella parentesi perché priva di stimoli. «Molti dei veterani postano poco e le nuove leve, invece, hanno iniziato a mollare», ha aggiunto Devon Harris, 20enne di Tampa. «Lo stop è dovuto a tanti motivi. Quando uno di noi si apre col suo pubblico, confessando di sentirsi bullizzato o discriminato, sotto pressione o trattato come se fosse un robot, nessuno prova a capirlo. Nei commenti si leggono solo frasi come ‘Sei un influencer, abituati’».

Giovani creativi usati come macchine da soldi

Il fenomeno non riguarda solo TikTok. E non c’entra solo l’emergenza Covid. È dal 2017 che chi lavora online e sui social denuncia un disagio che pochi comprendono. Tra instagrammer e youtuber molti si sono sentiti soffocati dalle logiche dell’algoritmo. Così hanno messo un punto alla loro carriera. «Quello che, all’inizio, sembra stimolante, alla lunga diventa stancante. Ti sembra di non avere ore a sufficienza per fare tutto e vivere una vita normale», ha raccontato il 22enne Jose Damas. Che, come tanti, si è sentito messo alla prova dalla volatilità del successo regalatogli dalla crescita dei follower. Una soddisfazione che non si è mai goduto perché costantemente impegnato ad alzare l’asticella per preservare reputazione e garantirsi una stabilità economica. Alla base di questo malessere generalizzato, molti sostengono ci sia anche lo sfruttamento smodato dei content creator da parte dei giganti del tech che puntano su figure simili per raggiungere un pubblico più trasversale e avviare business redditizi. Un meccanismo usa e getta. «Mi sono spesso sentito come una macchina da soldi. Un giorno ero utile, il giorno dopo non ero più nessuno. Un ricambio del genere non aiuta la salute mentale perché nessuno pensa a te come persona, ti vedono come uno strumento a loro disposizione e basta», ha spiegato Innanen. Una sensazione che, per molti, è passata solo con sessioni di terapia e life coaching, parlandone in famiglia e, talvolta, coi vertici dei social network. TikTok, ad esempio, mette a disposizione del creator un team al quale rivolgersi per calibrare al meglio le proprie esigenze, i propri obiettivi e lavorare in un clima produttivo e sereno.