Le foto del massacro di Bucha segnano uno spartiacque. L’ultima tappa dell’escalation dell’orrore che si sta consumando in Ucraina, dopo gli scatti degli sfollati in fuga tra le macerie del ponte di Irpin e la donna incinta dell’ospedale pediatrico di Mariupol bombardato dai russi. I corpi abbandonati ai lati delle strade della cittadina vicino Kyiv e quelli torturati nei seminterrati insieme alle testimonianze dei sopravvissuti hanno choccato l’opinione pubblica, spinto la comunità internazionale a varare un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia e ad aprire indagini su crimini di guerra.

The Saigon Execution e la verità sulla guerra del Vietnam
Non è certo la prima volta che le foto imprimono una svolta nella guerra, aprendo gli occhi a intere Nazioni e tracciando il limite invalicabile dell’orrore. Era accaduto anche in Vietnam. Se l’immagine di Kim Phuc, la bambina di nove anni ustionata dal napalm, è entrata nei libri di storia (il fotografo Nick Ut vinse il Pulitzer nel 1973) lo scatto che svelò per primo l’atrocità di quel conflitto fu The Saigon Execution, l’uccisione a bruciapelo di Nguyen Van Lem, ufficiale dei Viet Cong, in una strada di Saigon il primo febbraio 1968, da parte di Nguyen Ngọc Loan, generale del Sud. L’istantanea firmata da Eddie Adam per Ap e vincitrice del Pulitzer, sconvolse milioni di americani mostrando senza filtro la brutalità dell’esercito sudvietnamita alleato degli americani e la non invincibilità delle truppe Usa colte di sorpresa nell’Offensiva del Tet lanciata a fine gennaio di quell’anno dai Viet Cong. L’immagine venne usata in moltissime manifestazioni contro la guerra negli Stati Uniti.

Le foto che hanno inciso sulla guerra nella ex Jugoslavia
Una foto simile venne scattata durante la guerra in Bosnia, nell’aprile 1992 dal fotoreporter Ron Haviv. Scattata durante l’assalto alla città di Bijeljina da parte dei paramilitari serbi di Željko Raznatović “Arkan”, lo scatto immortala un civile terrorizzato che prega prima di essere giustiziato. Come raccontò Haviv nel 2015, solo grazie ai social media a quell’uomo venne dato un nome. Si trattava di Hajrush Ziberi, un macedone, morto il 4 aprile 1992. Il suo corpo venne trovato nel fiume Sava. Ci vollero 12 anni per identificarlo tramite l’esame del Dna. Quella foto atroce testimonia l’inizio della pulizia etnica in Bosnia.

Più delle immagini della strage di civili in fila per il pane nella Sarajevo assediata nel 1992 (22 morti), colpì quella del violoncellista Vedran Smajlović che in smoking tra bombardamenti e cecchini suonò l’Adagio in sol minore di Albinoni per 22 giorni, un giorno per ogni vittima. «Un popolo sotto il fuoco d’artiglieria riesce a mantenere l’umanità», scrisse il New York Times a corredo della foto.

La strage di Markale e la storia che si ripete in Ucraina
Un forte impatto sulle sorti del conflitto nella ex Jugoslavia l’ebbero le foto di un’altra strage, quella al mercato di Markale sempre a Sarajevo il 5 febbraio 1994 (68 vittime). I corpi dilaniati dai colpi di mortaio scossero l’opinione pubblica mondiale. Il presidente bosniaco Alija Izetbegovic dichiarò alla stampa: «Questo è un giorno nero e terribile per la gente della Bosnia e Erzegovina. Siamo condannati a morte, ci è negato il diritto di difenderci. Coloro che ci privano del diritto di autodifesa saranno complici di questo crimine». Il j’accuse era rivolto alle Nazioni Unite che avevano imposto l’embargo nella consegna di armi. Come riportò il New York Times alcuni sopravvissuti alla strage di Markale gridarono ai giornalisti stranieri: «Tutto il mondo ha ucciso queste persone» e «Grazie Clinton, grazie Boutros Ghali», allora segretario generale dell’Onu. I serbi dal canto loro puntarono il dito contro i musulmani accusandoli di aver sparato sulla propria gente perché, come disse il ministero dell’Informazione dell’autoproclamata Repubblica Serbo-Bosniaca, «i serbi non uccidono civili». Parole e accuse incrociate che drammaticamente ci riportano al conflitto in corso in Ucraina, alla propaganda e al negazionismo russi. Una delle varie indagini aperte dall’Onu sul luogo della strage contemplò la possibilità che a sparare sui civili fossero realmente state le forze musulmane bosniache con l’obiettivo di aumentare la pressione sulla comunità internazionale. Teoria poi smentita dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia e da successive perizie ma che venne ribadita nel 2010 dall’ex leader serbo Radovan Karadžić durante il suo processo all’Aja per genocidio e crimini di guerra.

Meno di una settimana dopo la strage di Markale, Boutros-Ghali chiese alla Nato di intervenire. Ad aprile cominciarono i bombardamenti sulle posizioni serbo bosniache intorno alla Capitale. Un anno e mezzo più tardi, il 28 agosto 1995, una seconda strage in quello stesso mercato convinse l’Alleanza Atlantica a intensificare i bombardamenti nell’ambito della campagna Operation Deliberate Force. Nell’arco di poche settimane, i serbi si arresero e presero il via i negoziati di pace.
Così The Hanging Woman aprì gli occhi su Srebrenica
C’è poi una fotografia diventata simbolo del tradimento di Srebrenica da parte di Europa, Stati Uniti e Nazioni Unite, e che ha cambiato la posizione americana nei confronti della guerra in Bosnia. Si tratta dell’immagine del 1995 di una donna bosniaca impiccata nel bosco dopo che la città era stata presa dai serbi. Ferida Osmanovic, questo il suo nome, divenne così The Hanging Woman. Madre di due figli, 31 anni, si uccise dopo che il marito era stato massacrato a Srebrenica. Lo scatto, in Italia pubblicato in prima pagina dal Manifesto, venne mostrato al Congresso Usa durante il dibattito su Srebrenica ed ebbe un impatto decisivo sulla politica statunitense in Bosnia.

Samar Hassan, la bambina del checkpoint di Tal Afar
Anche in Iraq le foto hanno fatto la differenza. Tra le tante, quella scattata nel gennaio 2005 da Chris Hondros, celebre fotoreporter di guerra rimasto ucciso il 20 aprile 2011 in un attacco a Misurata, in Libia. È quella di una bambina di appena cinque anni, Samar Hassan, spaventata e insanguinata dopo che le truppe statunitensi avevano ucciso i suoi genitori a un posto di blocco nella città di Tal-Afar. La foto spinse le forze armate Usa a cambiare la gestione dei checkpoint e mise ulteriormente in discussione il ruolo svolto in Iraq.

Le prove delle torture nel carcere iracheno di Abu Ghraib da parte dei soldati Usa
La stessa potenza l’hanno avuta le foto delle torture sui prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib vicino a Baghdad scattate dagli stessi aguzzini e trasmesse dal programma 60 Minutes della Cbs il 28 aprile 2004. Lo scandalo travolse l’allora presidente George W Bush smentendolo. Bush infatti aveva giurato che dopo la deposizione di Saddam Hussein in Iraq non ci sarebbero state più torture.

The Falling Soldier di Robert Capa durante la Guerra civile spagnola
Tornando indietro nel tempo, come non ricordare la celebre Falling Soldier di Robert Capa raffigurante un soldato dell’esercito repubblicano colpito a morte a Cordova nel 1936 durante la guerra civile spagnola. Pubblicata sul giornale francese Vu il 23 settembre del 1936, poi su Life il 12 luglio 1937 contribuì a rafforzare nel mondo le simpatie per la causa repubblicana. Lo scatto in anni recenti è stato però giudicato un falso, quando ormai il fotoreporter della Magnum non poteva difendersi visto che morì nel 1954 mentre copriva la guerra francese in Indocina. Nel 2013 però il Centro Internazionale di Fotografia recuperò un’intervista radiofonica, risalente all’ottobre del 1947, in cui Capa ricostruiva il preciso momento in cui scattò la foto.

«Ho scattato la foto in Andalusia», racconta il fotografo, «mentre ero in trincea con 20 soldati repubblicani, avevano in mano dei vecchi fucili e morivano ogni minuto». La foto fu scattata mentre i soldati che seguiva si scagliarono contro una mitragliatrice fascista. «Ho messo la macchina fotografica sopra la mia testa e senza guardare ho fotografato un soldato mentre si spostava sopra la trincea, questo è tutto. Sono stato in Spagna per tre mesi e al mio ritorno ero un fotografo famoso, perché la macchina fotografica che avevo sopra la mia testa aveva catturato un uomo nel momento in cui gli sparavano».
Quando la guerra diventò visibile
La guerra venne mostrata per la prima volta con tutto il suo carico di orrore e di morte nella seconda metà del 1800, quando Mathew Brady, considerato il padre del fotogiornalismo, e il suo aiutante Alexander Gardner, iniziarono a fotografare i soldati americani morti sui campi di battaglia della Guerra Civile. Con i 70 corpi riversi sul campo di battaglia di Antietam, nel Maryland, nel 1862 (il bilancio fu di 23 mila vittime, tra morti e feriti) la guerra smise di essere racconto epico per trasformarsi in cronaca.
