Una lettera della preside alle famiglie ha scatenato l’immediata reazione dei ragazzi. Il tema centrale della vicenda, accaduta al liceo pedagogico di Brunico, è l’abbigliamento. La dirigente scolastica ha richiesto di evitare indumenti che lascino scoperta la pancia, chiedendolo direttamente ai genitori. Le ragazze e i ragazzi non ci stanno e stamattina si sono presentati vestiti soltanto con t-shirt molto corte. La protesta ha sortito l’effetto sperato: ora collaboreranno per trovare un dress code.

La preside spiega: «Lettera ha preso significato differente»
Il passaggio incriminato della lettera rivolta dalla preside Isolde Maria Kunig ai genitori parla di «un abbigliamento appropriato per chi entra a scuola, senza magliette che lascino la pancia completamente nuda». Una richiesta che la stessa dirigente ha spiegato al Corriere dell’Alto Adige: «Ci sono state molto lamentele per la leggerezza degli abiti di alcuni studenti con la salute dei ragazzi come primaria preoccupazione. È rischioso, per esempio, accettare che si possa imporre una sorta di ideale di pancia piatta che potrebbe portare a diete pericolose con l’obiettivo di raggiungerlo. Forse ho sbagliato a mettere questi concetti in forma scritta perché non si è inteso il tono della formulazione. La lettera ha preso un significato differente da quelle che erano le intenzioni. Avrei dovuto parlare direttamente con gli studenti».
Le scuse e la collaborazione con gli alunni
Dopo la protesta di tante ragazze a anche alcuni ragazzi, tutti vestiti con top e t-shirt molto corte per mostrare la pancia, la stessa preside ha convocato gli alunni. Dopo le scuse per l’incomprensione, la dirigente ha chiesto loro di «elaborare insieme quello che potrebbe essere un dress code condiviso per la scuola». La protesta di oggi a Brunico ricalca quanto accaduto a Roma qualche mese fa, quando i ragazzi protestarono dopo una frase sconveniente pronunciata da una professoressa a una studentessa di 16 anni proprio per la maglietta corta indossata a scuola.

L’associazione Gea: «Chi può definire un abbigliamento “adeguato”?»
«Mi chiedo davvero chi possa definire un abbigliamento “adeguato”. Quali norme possano descrivere in modo oggettivo questa condizione?». A dichiararlo è stata la presidente dell’associazione antiviolenza Gea, Christine Clignon, intervenuta sulla vicenda. «Gli standard culturali sono molto discutibili perché spesso imposti dagli uomini in carica in un preciso luogo (in Afghanistan, per esempio, si prevede una copertura totale delle donne). Le norme igieniche? In sauna basta un asciugamano. I gradi esterni? Spesso gli adolescenti hanno vampate di calore che noi ignoriamo. Dopo lunghe riflessioni, affrontate anche con mia figlia, sono arrivata alla conclusione che ogni persona può decidere da sola cosa considerare appropriato e come si senta a suo agio. Naturalmente possono esserci ambienti privati che impongono un abbigliamento, ma ognuno è libero di aderirvi o meno. Nei luoghi pubblici, invece, ciascuno dovrebbe avere la possibilità di esprimersi liberamente anche se volesse indossare la tuta da sci in sauna».