Finché Brexit non ci separi

Camilla Curcio
31/08/2021

La storia della coppia divisa dal confine irlandese e dalle nuove norme sull'immigrazione. Lei, sudafricana, ha rinunciato al lavoro per raggiungere il marito nel Regno Unito, ma con l'uscita dall'Ue ottenere il nullaosta è diventato particolarmente complicato.

Finché Brexit non ci separi

Due città, una coppia separata dal confine irlandese e da 40 chilometri. Non è una storia da romanzo rosa o da telefilm estivo, ma la realtà con cui si trovano quotidianamente a confrontarsi Corrinne e Brett Giles, coniugi la cui vita è diventata particolarmente complessa dopo l’entrata in vigore della Brexit e con essa delle nuove regole in materia di immigrazione. Da otto mesi, lei, dottoressa sudafricana, vive in un costante stato di ansia determinato dall’attesa del permesso familiare che le permetterebbe di vivere in Inghilterra col marito britannico. Il rischio, qualora non arrivasse, sarebbe il ritorno in Sudafrica, poiché il suo soggiorno in Europa diventerebbe irregolare.

Dal reparto Covid all’incubo del ritorno in Sudafrica

Impiegata nel reparto Covid, la donna è rimasta successivamente disoccupata, avendo scelto di non prolungare il contratto di lavoro a Donegal (Repubblica d’Irlanda). Una decisione sostenuta dalla convinzione di un tempestivo trasferimento nel Regno Unito. I tempi però si sono allungati e le procedure complicate a causa della Brexit, così Corrinne Giles si trova a fare i conti anche con la scadenza imminente dei suoi diritti di residenza in Irlanda. Se prima della Brexit, infatti, i partner non britannici dei cittadini godevano di libero accesso nel Regno Unito, in virtù delle leggi previste dall’Unione Europea, oggi le regole sono cambiate. Entro il 29 marzo 2022, i coniugi, se interessati a entrare nel Regno Unito, sono costretti a fare domanda per richiedere il pre-settled status. Si tratta di un documento concesso a chi non ha ancora maturato i requisiti per poter vivere in modo permanente Oltremanica, ossia esservi stabilito per almeno cinque anni.

Da qui l’origine delle travagliate vicende, ancora lontane dal trovare un lieto fine. Due due anni fa, infatti, la coppia decise di trasferirsi in Irlanda dal Sudafrica, approfittando dell’incarico ottenuto da Corrinne presso il pronto soccorso dell’ospedale di Letterkenny, nella contea di Donegal. Un’occasione perfetta per avvicinarsi ai parenti. A cui si aggiunse presto l’idea di un ulteriore spostamento in Inghilterra, sfruttando l’opzione che avrebbe consentito alla 48enne, da cittadina non europea, di entrare tranquillamente nel Regno Unito grazie a degli accordi collaterali stipulati nell’ambito della Brexit. Non le sarebbe infatti servito un visto, ma un semplice permesso rilasciato dall’Home Office, il locale ministero dell’Interno. Il marito, intanto, impiegato nel marketing, si era spostato temporaneamente a Derry, Irlanda del Nord. Corrinne, dalla parte opposta del confine, da allora aspetta un nullaosta di cui non si hanno tracce.

E si arriva ai giorni nostri. La dottoressa vive in una stanza singola a Letterkenny ed è disoccupata: «Questa situazione mi ha distrutto fisicamente ed emotivamente», ha raccontato al Guardian, «Ogni giorno controllo ossessivamente le mail nella speranza di ricevere il messaggio che potrebbe cambiare il mio futuro. È una tortura, desidero solo una vita normale. Con la mia famiglia».

Anche una parte della politica al fianco della coppia

Il loro grido, fortunatamente, non è rimasto inascoltato. I deputati Colum Eastwood e Peter Kyle si stanno battendo affinché il caso dei Gilles e numerosi altri simili vengano presi finalmente in considerazione dall’Home Office, ponendo fine a un’applicazione delle norme giudicata da molti eccessivamente severa. «Il governo pare aver dimenticato di essere al servizio dei cittadini», ha sottolineato Kyle. «È inammissibile che un cittadino britannico si trovi completamente abbandonato in una situazione del genere, impossibilitato a ottenere informazioni o una soluzione valida per risolvere un problema strettamente legato a decisioni dei vertici». Per parte sua, l’Home Office ha declinato la richiesta del Guardian di commentare la vicenda, difendendo il proprio operato e precisando come le tempistiche delle operazioni dipendano dalla natura e dalla complessità delle domande, valutate singolarmente e in base a parametri che tengono fortemente conto dei meriti individuali dei richiedenti.