Che ne sarà dei cittadini europei che vivono nel Regno Unito ora che la Brexit entra nel vivo? Accademici e ricercatori lanciano l’allarme: dal primo luglio potrebbe infatti diventare più difficile per loro lavorare, affittare una casa o continuare a ricevere la pensione. Fino al 30 giugno – quando il Regno Unito sarà considerato a tutto gli effetti un Paese terzo – le persone con passaporto europeo (e i loro figli) possono chiedere il riconoscimento dello status di residente (settled per chi è nel Paese da più di cinque anni, pre-settled per chi lo è da meno), ma un rapporto dell’associazione Uk in a Changing Europe mette in guardia dai possibili rischi per chi non dovesse candidarsi in tempo.
Domanda in attesa di risposta
E problemi potrebbero esserci anche per chi ha presentato la domanda, ma è ancora in attesa di una risposta da parte del ministero degli Interni: bambini, adulti e pensionati potrebbero incontrare delle difficoltà nell’accesso al servizio sanitario nazionale, o nel viaggiare, qualora non riuscissero a dimostrare il loro status. In attesa, ci sarebbero circa 320 mila persone: «Se i richiedenti non possono dimostrare di avere un permesso di soggiorno perderanno immediatamente i loro diritti, anche se la domanda è valida», si legge nel rapporto.
Da questo punto di vista il governo pare abbia rassicurato che chi è in lista d’attesa non verrà pregiudicato dalla scadenza del termine, mentre nei confronti delle domande tardive sarà adottato un approccio «pragmatico e flessibile». A porre l’accento su quelli che potrebbero essere i problemi, invece, è Catherine Barnard, docente di diritto dell’Unione europea a Cambridge e vicedirettore di Uk in Changing Europe: «Per richiedere il riconoscimento dello status bastava risiedere nel Paese prima del 31 dicembre. Per essere protetti dopo il 30 giugno, se non si ha lo status, bisogna rifarsi ai diritti del Trattato Ue, quindi bisogna essere lavoratori dipendenti o autonomi, studenti o una persona con mezzi indipendenti».
Chi rischia
Dunque i pensionati, i figli o i coniugi di un cittadino dell’Unione che provengono da un Paese extra Ue e che hanno richiesto, ma non ottenuto, lo status, potrebbero essere in difficoltà. Ad avere problemi, potenzialmente, anche le persone che non sanno di dover richiedere la cittadinanza, come gli anziani che si trovano nel Regno Unito da decenni e che non credono che questo sistema si applichi anche a loro: non un problema teorico, visto che solamente il 2% di chi ha fatto domanda per lo status di residente rientra negli over 65.
A poter passare i guai sono anche i proprietari di casa e i datori di lavoro, a rischio multe nel caso di contratti (di affitto o di lavoro) stipulati con persone senza diritto di soggiorno o la cui richiesta è in sospeso. Molti proprietari, quindi, potrebbero decidere di evitare problemi e di affittare le proprie case solamente a britannici o irlandesi, titolari in automatico di questi diritti.
Italiani a Londra, che succede
Con la legislazione che cambia dal primo luglio, i proprietari sono tenuti a controllare che i propri inquilini abbiano uno status che gli consenta di prendere in affitto una casa o una stanza, e nel caso di mancato controllo rischiano di ricevere multe fino a tremila sterline. Per i datori di lavoro si parla invece di ammende fino a 15mila sterline. «Abbiamo già confermato che chi ha fatto o farà domanda entro il 30 giugno, ma non ha ancora ricevuto una risposta, sarà protetto fino a quando non sarà decisa la sua situazione», ha detto Kevin Foster, ministro competente per l’Immigrazione e i “Confini Futuri” (cioè quelli del Regno Unito post-Brexit).
Secondo l’Aire, ad oggi sono più di 461 mila gli italiani residenti nel Regno Unito. Anche per parte di loro, nonostante lo stato di settled, la data del primo luglio potrebbe essere uno spartiacque decisivo per la permanenza all’estero.