Un altro calcio è possibile. Anche più di uno, se è per questo. E fra i tanti c’è la via sperimentata dal Brera FC e dal suo fondatore, il giornalista Alessandro Aleotti. Che a partire dal 2000, anno di fondazione del club, ha fatto del calcio uno strumento per cercare di realizzare obiettivi sociali di ogni tipo: culturali, identitari, solidaristici, persino di gestione economico-finanziaria virtuosa. Un laboratorio perennemente aperto a nuove sfide, dove di sicuro in tutti questi anni è stato impossibile annoiarsi. E che adesso si prepara a mutare per l’ennesima volta.
La squadra di Opera: un progetto replicato in altre carceri
L’avventura parte nel 2000 con l’intenzione che questo club e il suo modo di affrontare il calcio fossero da subito un banco di prova. Il livello scelto è comunque impegnativo (Serie D) ma ha anche tanti punti di interesse a partire dall’uso dell’Arena Civica, che veniva restituita regolarmente al calcio, così come il coinvolgimento di Walter Zenga. Però diventa subito chiaro che portare la squadra a competere nel terreno del calcio professionistico, o addirittura pretendere di andare a erodere spazi ai due colossi del calcio milanese (che poi sono due colossi del calcio globale) come Inter e Milan, sarebbe velleitario. Inutile cercare di essere la terza squadra di Milano. Meglio fare di un club, comunque interno al calcio, il volano per altri progetti che attraverso il calcio potessero essere accompagnati e trovare realizzazione. Prendono così avvio i progetti di impatto sociale, quelli che portano il calcio in contesti difficili e ne fanno uno strumento di socializzazione. Nel 2003 nasce la prima squadra in ambito Figc che ha sede in un carcere, quello di Opera. Una storia che ha fatto il giro del mondo, raccontata dal programma Rai Sfide. È necessario stipulare un protocollo fra Federcalcio e ministero della Giustizia per mettere in piedi il progetto, che deve scontrarsi con ovvie limitazioni. «Ovviamente la squadra e i suoi giocatori non potevano andare in trasferta», spiega Aleotti a Tag43. La squadra prende parte al campionato di Terza Categoria, dunque entra nella filiera ufficiale del calcio italiano. Alla fine del campionato vince i playoff e passa in categoria superiore. Il progetto ha un impatto importante perché apre il carcere alla società. «Ogni settimana una squadra e il suo gruppo di persone al seguito, in genere una cinquantina in tutto, entravano nella struttura. E questo faceva parte delle condizioni che abbiamo negoziato per portare avanti il progetto», sottolinea il fondatore con soddisfazione. «La grande soddisfazione è aver visto che questo nostro progetto pilota è stato replicato in altre carceri d’Italia».

Rom e migranti sul campo da calcio e l’invenzione del Fenix Trophy
Un altro progetto di complicata realizzazione è stato quello che ha coinvolto i calciatori di etnia rom. In questo caso è stato fondamentale il ruolo dell’attrice e attivista Diana Pavlovic. La rappresentativa ottiene uno status dalla Conifa, la confederazione calcistica degli Stati non riconosciuti. Suscita curiosità l’amichevole contro la ‘nazionale’ della Padania. Altri incontri sono stati realizzati coi migranti giunti in Italia sui barconi. Gli esperimenti sono continuati con la gestione della squadra da parte dei tifosi, che possono scegliere chi far giocare. I risultati non sono granché. La squadra retrocede, ma resta comunque la piacevolezza del fermento e dell’esperienza partecipativa. Il Brera FC si garantisce anche una continuità generazionale, ma in modo particolare. Niente figli dei dirigenti a giocare nella squadra, piuttosto possono aiutare nel lavoro dirigenziale. E così Leonardo Aleotti, uno dei figli di Alessandro, entra nell’organico. Si deve a lui l’invenzione del Fenix Trophy, un trofeo internazionale a inviti riconosciuto dalla Fifa che raduna alcuni fra i club dilettantistici più iconici, come lo United of Manchester. «Si tratta di un torneo che permette di scoprire la vera radice del dilettantismo», spiega Aleotti, «ciò che in Italia ancora stentiamo a percepire».

Chris Gardner e l’internazionalizzazione del Brera
Succede così che la storia del Brera FC varchi l’Atlantico e catturi l’interesse di investitori amici di Aleotti. Negli Usa il calcio si radica in modo sempre più deciso, sia pure in applicazione di un modello molto diverso rispetto a quello europeo. Fra coloro che si interessano al Brera c’è anche Chris Gardner, il businessman la cui storia è stata raccontata dal film di Gabriele Muccino, La ricerca della felicità. Ne scaturisce l’idea di internazionalizzazione del Brera. In Macedonia viene acquisito il club fondato da Goran Pandev (l’ex calciatore di Inter e Genoa), che ha giocato in Conference League. Poi è stata fondata una squadra in Mozambico, e lì è stata ammessa alla Serie B. Adesso viene valutato di acquistare una squadra in Asia. E poiché il progetto evolve, la prospettiva è quella di non partecipare più ai campionati di calcio a 11 in Italia. Per due stagioni il Brera ha giocato tra Prima e Seconda Categoria con una squadra di calciatori che non si allenavano nemmeno, venivano a giocare solo la domenica. E se battevano squadre “regolari”, fatte di gente che si allenava, per quelli era un’umiliazione. Adesso è stato deciso di mantenere una squadra di calcio a 5, per avere comunque una struttura da presentare al Fenix Trophy. Una scelta netta, forse anche sentimentalmente pesante, ma in linea con un percorso di costante innovazione. E in attesa dei prossimi passaggi.