Come il bolsonarismo ha soffiato sul fuoco del golpe in Brasile

Redazione
09/01/2023

Sospetti (infondati) sulla correttezza del voto. Il presidente Bolsonaro che vola negli Usa e non riconosce la vittoria di Lula. Ex ministri e politici di destra che hanno parlato di dittatura della magistratura minimizzando la rivolta. Così in Brasile si è ripetuto lo schema americano dell'assalto a Capitol Hill.

Come il bolsonarismo ha soffiato sul fuoco del golpe in Brasile

Come si soffia sul fuoco del malcontento? Alimentando il germe della rivolta, a poco a poco, senza riconoscere mai l’esito del voto e aizzando le frange più estremiste. Nel burrascoso epilogo di questa escalation di senso di rivalsa e contestazione, sono molte le analogie tra gli Stati Uniti di Donald Trump e il Brasile di Jair Bolsonaro. Due politici di destra e borderline presi spesso da esempio dai partiti che oggi governano anche in Italia. Storicamente, per giustificare le guerre in giro per il mondo si dice che gli americani si impegnano a «esportare la democrazia». Ora pare abbiano iniziato a esportare gli assalti alla democrazia, visto il cattivo esempio dei fatti di Capitol Hill. Un segno dei tempi, nell’epoca dei populisti al governo.

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Lavoro quotidiano, sfrontato e costante di Bolsonaro per quattro anni

O Globo, uno dei principali quotidiani brasiliani, ha cercato di spiegare come si sia creato questo mix esplosivo di rabbia e violenza nel Paese. Non nasce tutto all’improvviso: è lunga infatti la scia dei segnali di clemenza nei confronti dei «fascisti» – copyright di Lula – che hanno vandalizzato gli edifici simbolo del potere della Repubblica. Questi rivoltosi hanno potuto prepararsi con calma, avendo dalla loro parte il tempo e la certezza dell’impunità. Un movimento che è il risultato del lavoro quotidiano, sfrontato e costante per quattro anni dell’ex presidente Bolsonaro. Ecco perché non può che essere lui il principale responsabile di quanto accaduto, anche se si trova a 6.100 chilometri dalla capitale del Paese, nel suo buen retiro di Mar-a-Lago.

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Un poliziotto cade da cavallo durante la ressa. (Getty)

Dal ministro della Difesa solo minimizzazioni sui golpisti

Una delle prove più evidenti della creazione di questo clima che ha spaccato in due il Brasile è stata l’aver nominato Anderson Torres segretario alla Sicurezza, dopo quello che si era rivelato da ministro della Giustizia: nient’altro che un fedele servitore del “bolsonarismo”. Intanto il ministro della Difesa José Múcio ha continuato a minimizzare il movimento dei golpisti che si accampavano davanti alle caserme, dicendo di avere «parenti e amici» tra i manifestanti, che gli estremisti erano soltanto «casi isolati» e che quindi il movimento sarebbe presto «svanito via». Si è visto.

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La distruzione dentro il palazzo presidenziale brasiliano dopo l’assalto. (Getty)

«O Patria o morte»: le parole che hanno soffiato sul fuoco

Il Paese nella sua drammatica giornata ha quindi semplicemente raccolto ciò che Bolsonaro aveva seminato. Dopo quattro anni di polarizzazione, il culmine è stato raggiunto quando l’ex presidente non è riuscito a essere rieletto, a ottobre del 2022. Lì i bolsonaristi hanno cosparso il Brasile di un sentimento di sfiducia nei risultati delle urne e nel funzionamento di tutta la macchina democratica. Un altro degli ex ministri di Bolsonaro, il titolare del Turismo Gilson Machado, ha persino pubblicato un video dell’invasione scrivendo «o la Patria resta libera o bisogna morire per il Brasile»: il post è stato cancellato poco dopo, quando ormai però era tardi. Il presidente di destra ha avanzato (infondati) sospetti sul funzionamento del voto elettronico fin da prima dell’apertura delle urne. Dopo la sconfitta, è rimasto in silenzio per quasi due giorni e non si è congratulato con Lula per la vittoria.

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Una manifestante pro Bolsonaro davanti alla polizia. (Getty)

Accuse ai giudici e propaganda sulla «dittatura della magistratura»

Suo figlio, il senatore Flavio Bolsonaro, su Twitter ha incoraggiato così le manifestazioni: «Non rinunceremo al nostro Brasile!». Mentre la deputata Bia Kicis aveva dichiarato di non aver «paura di lottare per la verità» perché «il popolo vuole trasparenza!», denunciando una «vera dittatura della magistratura». Un’altra esponente del Partito liberale di Bolsonaro, Carla Zambelli, ha registrato un video rivolto ai generali dell’esercito in cui chiedeva se questi avrebbero «salutato un bandito o la nazione brasiliana», riferendosi a Lula. E l’ex vice presidente e attuale senatore, Hamilton Mourão, ha fatto eco al coro di sospetti sulla correttezza del voto, scrivendo sui social: «Il clamore delle manifestazioni che abbiamo visto dopo la proclamazione dei risultati delle urne è legittimo, per quanto molti abbiano cercato di classificarlo come “anti-democratico”».

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Supporter di Bolsonaro. (Getty)

Il volo del presidente negli Usa: un segnale sul mancato passaggio di potere

Il fatto che Bolsonaro sia volato negli Stati Uniti per evitare di consegnare la fascia presidenziale a Lula e mantenere sui social la sua biografia che recita «Presidente della Repubblica Federativa del Brasile» è stato interpretato da alcuni suoi seguaci più invasati come l’ennesimo segno che il passaggio di potere non sarebbe avvenuto. Il suo partito ha provato più volte a denunciare episodi che avrebbero danneggiato la destra sia durante la campagna elettorale sia nello svolgimento del voto, ma la magistratura ha sempre classificato le contestazioni come «menzognere e senza alcun aggancio concreto alla realtà». Fino a quando la realtà non ha davvero superato ogni scenario più impensabile di violenza e assalto alla democrazia.