Di Mladic in peggio

Nicolò Delvecchio
29/07/2021

In Bosnia-Erzegovina sarà reato negare il genocidio di Srebrenica. Lo ha stabilito l'Alto rappresentante Inzko: «Un Paese in cui i criminali di guerra sono ancora glorificati non può avere futuro». Ma la comunità serba non ci sta e minaccia ritorsioni.

Di Mladic in peggio

In Bosnia-Erzegovina non si potrà più negare il genocidio di Srebrenica, ma i politici di etnia serba del Paese non ci stanno. La decisione è stata presa da Valentin Inzko, Alto rappresentante per il Paese balcanico. In base agli accordi di Dayton che nel 1995 misero fine alla guerra nel Paese, i firmatari dell’accordo istituirono la figura dell’Alto rappresentante che ha il compito di assicurarsi che le clausole del patto siano rispettate. I suoi poteri sono ampi, perché può rimuovere dei politici, far approvare alcune leggi e porre il veto ad altre.

Il genocidio di Srebrenica e il negazionismo serbo

Inzko, austriaco in carica dal 2009 (ma presto sarà sostituito da Christian Schmidt), ha imposto un provvedimento che vieta di negare lo sterminio avvenuto nel 1995 a Srebrenica, in cui oltre 8 mila bosniaci musulmani (bosgnacchi) furono uccisi dall’esercito serbo del generale Ratko Mladic. La Corte internazionale di giustizia lo definì «genocidio» nel 2007, visto che fu perpetrato con lo specifico intento di eliminare un intero gruppo etnico. Mladic, il cui ergastolo è stato confermato dal Tribunale dell’Aia appena un mese fa, continua però a essere acclamato da alcuni leader serbo-bosniaci, e l’Alto rappresentante ha detto basta: «Dovevo fare qualcosa, ho seguito la mia coscienza», ha dichiarato alla Bbc. «Un Paese in cui i criminali di guerra vengono ancora glorificati non può avere un buon futuro». In passato Inzko aveva spinto affinché questo provvedimento venisse approvato dai diretti interessati, ma i fallimenti continui e lo stallo derivante lo hanno spinto a imporlo dall’alto. «Sarebbe stato meglio se lo avessero fatto da soli, ma i progetti sono naufragati troppe volte in questi 10 anni».

I serbi-bosniaci minacciano di paralizzare le istituzioni

Il primo oppositore è stato Milorad Dodik, membro serbo-bosniaco della presidenza congiunta della Bosnia Erzegovina (presidenza divisa in tre in base alle etnie: serba, croata e bosgnacca) ha già annunciato che non accetterà gli emendamenti al codice penale voluti da Inzko, che prevedono pene fino a 5 anni di carcere per chi nega il genocidio, l’unico compiuto in Europa dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Dodik, però, rifiuta la definizione di «genocidio» di quel massacro. «Mi aspettavo queste reazioni», continua Inzko, «e forse per un periodo spunteranno altri graffiti (dopo la conferma dell’ergastolo per Mladic, nel Paese erano comparsi murales celebrativi del militare, ndr). Ma spero che presto ce ne saranno sempre di meno, fino a sparire. I poster di Mladic comparsi a Srebrenica in settimana sono già stati rimossi». A differenza del suo precedessore Paddy Ashdown, Inzko era stato complessivamente più moderato durante il suo mandato. Ashdown, invece, aveva licenziato parecchi funzionari per aver protetto criminali di guerra o per aver minacciato in altro modo il processo di pace.

Adesso, i serbi di Bosnia minacciano di paralizzare l’attività del Parlamento e della presidenza per evitare che il provvedimento entri in vigore. Normalmente, questa situazione sarebbe bilanciata dal maggior potere riservato alla presidenza, che però negli ultimi anni ha via via perso influenza per il mancato accordo tra le tre parti (i tre si alternano al vertice per otto mesi, il mandato dura quattro anni). Così, maggior peso lo hanno acquisito le due entità semi-autonome del Paese, la Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, la cui popolazione è composta in maggioranza di serbi, e la Federazione di Bosnia-Erzegovina, abitata soprattutto da bosgnacchi e croati. La “paralisi” delle istituzioni è quindi la triste normalità, indipendentemente da tutto.

Ancora tensione tra le ex Repubbliche jugoslave

Meno serio rispetto al delicato tema di Srebrenica è l’incidente diplomatico che ha ultimamente coinvolto Serbia e Croazia. Zagabria ha infatti annunciato di voler mettere il volto dell’inventore Nikola Tesla sugli euro, moneta che adotterà nel 2023. Tesla, nato in un villaggio che adesso fa parte della Croazia, era però di etnia serba, e Belgrado ha minacciato azioni legali parlando di «usurpazione» della cultura serba. Una bega apparentemente da poco che però dà l’idea di quanto, tra le repubbliche un tempo unite, continui a non scorrere buonissimo sangue.