Serbi in seno

Redazione
02/11/2021

Si alza la tensione in Bosnia Erzegovina. La minaccia dei separatisti di Dodik di creare un esercito autonomo nella Repubblica Srpska è sempre più concreta. L'Alto rappresentante lancia l'allarme all'Onu ma l'Ue fa orecchie da mercante e Mosca lo boicotta.

Serbi in seno

Tornano a soffiare venti di guerra in Bosnia. A lanciare un nuovo allarme è Christian Schmidt, l’Alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina. A preoccupare, come si legge nel rapporto inviato venerdì da Schmidt al segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres e visionato dal Guardian, sono le spinte dei separatisti serbi che continuano a minacciare di ricreare un proprio esercito, staccandosi da quello federale. Se dalle parole si passasse ai fatti, l’ipotesi di un nuovo conflitto «sarebbe reale», ha sottolineato l’Alto rappresentante. Lo scorso mese la polizia serbo-bosniaca ha effettuato esercitazioni di antiterrorismo sul monte Jahorina, da dove le forze serbe bombardarono Sarajevo durante l’assedio del 1992-95. «Questo equivale a una secessione di fatto», ha evidenziato Schmidt nel rapporto.

Dodik e le tensioni nella Repubblica Srpska

Il leader serbo-bosniaco della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina (divisa in tre in base alle etnie: serba, croata e bosgnacca) Milorad Dodik, che aveva minacciato non solo di ricreare una forza militare serba ma anche di ritirarsi dalle istituzioni, il 14 ottobre scorso aveva annunciato che avrebbe costretto l’esercito bosniaco a ritirarsi dalla Republika Srpska (la parte a maggioranza serba della Bosnia), assediando se necessario le caserme. Non solo. In caso l’Occidente fosse intervenuto, si sarebbe rivolto ad “amici” sostenitori della causa serba. Un riferimento nemmeno troppo velato alla Russia. Dodik tra l’altro aveva già chiesto di introdurre l’uso del cirillico a livello istituzionale e in tivù e l’uniformità dei programmi scolastici in Serbia e Republika Srpska.

i nazionalisti serbi della bosnia erzegovina minacciano un nuovo conflitto
L’Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina Christian Schmidt (Getty Images).

Il ricatto della Russia al Consiglio di Sicurezza Onu

Il mantenimento della pace in Bosnia è attualmente gestito dall’Eufor, forza Ue composta da 700 uomini, mentre la Nato conserva una sede formale a Sarajevo. Sia per Eufor sia per la Nato, il mandato annuale è in attesa di essere rinnovato questa settimana dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il voto è in agenda mercoledì. Mosca però ha minacciato di bloccare ogni nuova risoluzione in caso non vengano rimossi tutti i riferimenti all’alto rappresentante, minando di fatto l’autorità di Schmidt come garante degli accordi di Dayton del 1995. Una richiesta che Francia, Usa e Regno Unito, secondo fonti, sarebbero pronti ad accogliere.

Per l’Alto rappresentante Schmidt «l’instabilità in Bosnia-Erzegovina avrebbe implicazioni regionali più ampie»

Da quando ha assunto l’incarico lo scorso agosto, Schmidt, ex ministro tedesco all’Agricoltura, continua a mettere in guardia la comunità internazionale circa il precario equilibrio della Bosnia, Paese che sta affrontando, si legge nel suo primo rapporto, «la più grande minaccia del Dopoguerra». Secondo Schmidt le azioni di Dodik «mettono in pericolo non solo la pace e la stabilità del Paese e della regione, ma – se non riceveranno risposta dalla comunità internazionale – potrebbero portare alla rovina dell’accordo [di Dayton] stesso». Il rischio è che si possano verificare scontri tra le forze federali bosniache e la polizia serbo-bosniaca. «Se la forza armata della Bosnia-Erzegovina si dividesse in due o più eserciti, bisognerebbe riconsiderare il livello della presenza militare internazionale nel Paese». «Una mancata risposta alla situazione attuale metterebbe in pericolo [l’accordo di Dayton], mentre l’instabilità in Bosnia-Erzegovina avrebbe implicazioni regionali più ampie», continua il rapporto. «Le prospettive di ulteriori divisioni e conflitti sono molto reali».

in bosnia erzegovina si teme un nuovo conflitto con minoranza serba
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov con Milorad Dodik (Getty Images).

Le divisioni all’interno dell’Ue e l’Ungheria pro-Dodik

Il Cremlino si era opposto da subito alla nomina di Schmidt e si rifiuta di riconoscere la sua autorità. Il sospetto, ha riferito una fonte diplomatica vicina al dossier al Guardian, è che il vero obiettivo della Russia sia minare l’autorità dell’ufficio dell’alto rappresentante impedendogli di informare il consiglio. Ma anche se il mandato di Eufor venisse rinnovato, l’Ue difficilmente rafforzerebbe la sua presenza in Bosnia, senza contare che alcuni Stati membri, l’Ungheria in particolare, sono vicini a Dodik. Il vice segretario di Stato americano Gabriel Escobar ha dichiarato la scorsa settimana che gli Stati Uniti stanno lavorando con l’Ue per «assicurarsi che ci siano conseguenze per eventuali azioni illegali o destabilizzanti» in Bosnia. Ma al di là delle parole, non è chiaro se l’Amministrazione Biden sosterrebbe una nuova missione di peace keeping Nato.

Le tensioni dopo il divieto di negare lo sterminio di Srebrenica

Le tensioni in Bosnia Erzegovina si erano alzate già lo scorso luglio quando il predecessore di Schmidt, l’austriaco Valentin Inzko, aveva vietato di negare lo sterminio di Srebrenica avvenuto nel 1995, quando oltre 8 mila bosniaci musulmani (bosgnacchi) furono massacrati dall’esercito serbo del generale Ratko Mladic. La Corte internazionale di giustizia lo definì «genocidio» nel 2007, visto che fu perpetrato con lo specifico intento di eliminare un intero gruppo etnico. Mladic, il cui ergastolo è stato confermato dal Tribunale dell’Aia a giugno, continua però a essere acclamato da alcuni leader serbo-bosniaci. Già allora Dodik, che non ha mai riconosciuto la definizione stessa di “genocidio” per Srebrenica, si era rifiutato di accettare gli emendamenti al codice penale che prevedono pene fino a cinque anni di carcere per chi nega il genocidio, l’unico compiuto in Europa dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Arrivando a minacciare di paralizzare l’attività del Parlamento e della presidenza per evitare che il provvedimento entrasse in vigore.