È morto a 108 anni lo scrittore Boris Pahor

Redazione
30/05/2022

Lo scrittore triestino di lingua slovena raccontò la tragedia della deportazione nei lager nazisti nel romanzo autobiografico Necropoli.

È morto a 108 anni lo scrittore Boris Pahor

Si è spento all’età di 108 anni lo scrittore sloveno con cittadinanza italiana Boris Pahor. Ne dà notizia l’agenzia slovena Sta. Nato a Trieste nel 1913, quella di Pahor è considerata una delle voci più significative della tragedia della deportazione nei lager nazisti, raccontata nel romanzo autobiografico Necropoli, ma anche delle discriminazioni contro la minoranza slovena a Trieste durante il regime fascista.

Boris Pahor a soli sette anni assisté all’incendio del Narodni dom (Casa del Popolo), sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena di Trieste, da parte delle camicie nere. Un’esperienza che lo segnò per tutta la vita e che riaffiora spesso nelle sue opere, come il trauma della negazione della identità slovena – a partire dalla cultura e dalla lingua – attuata dal fascismo. Dopo gli studi in teologia, strinse rapporti con alcuni intellettuali sloveni di Trieste, dal poeta Stanko Vuk a Zorko Jelinčič, cofondatore della organizzazione antifascista slovena TIGR (e padre dello scrittore Dušan Jelinčič), fino ai pittori Augusto Černigoj e Lojze Spacal. Negli stessi anni cominciò il carteggio con il poeta Edvard Kocbek che divenne guida di Pahor.

L’attività antifascista e la deportazione

Tra il 1939 e il 1940 pubblicò alcuni contributi letterari sulla rivista slovena Dejanje, fondata proprio da Kocbek. Rientrato a Trieste, svolse attività clandestine negli ambienti dell‘antifascismo. Nel 1940 fu però arruolato nell’esercito e inviato in Libia. Successivamente prese servizio a Bogliaco, sul lago di Garda, come sergente, con il compito di interprete per gli ufficiali jugoslavi prigionieri di guerra catturati durante l’invasione della Jugoslavia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre tornò a Trieste, ormai occupata dai tedeschi. Decise allora di unirsi alle truppe partigiane slovene che operavano nella Venezia Giulia. Nel gennaio 1944, diventò responsabile per la stampa del comitato cittadino del Fronte di Liberazione del Popolo Sloveno. Una esperienza che raccontò nel romanzo del 1955 Mesto v zalivu (La città nel golfo). Venne arrestato dai collaborazionisti sloveni, i domobranci; incarcerato, fu torturato dalla Gestapo e deportato in Germania: a Natzweiler-Struthof, Dora e quindi a Bergen-Belsen. Quando il lager venne liberato Pahor arrivò a Parigi malato di tubercolosi e, dopo un periodo trascorso in un sanatorio, nel 1946 rientrò a Trieste.

Addio a Boris Pahor
La copertina di Necropoli.

Il libro intervista a Kocbek e la reazione del regime jugoslavo

Nel Dopoguerra, rivestì ruoli importanti in alcune riviste slovene e nel 1948 venne pubblicata la sua prima raccolta di prose brevi Moj tržaški naslov (Il mio indirizzo triestino). Dal 1953 al 1975, insegnò nelle scuole superiori con lingua d’insegnamento slovena a Trieste. Nello stesso anno insieme con Alojz Rebula, Pahor pubblicò il libro intervista Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca  in cui il poeta sloveno denunciava il massacro di 12 mila prigionieri di guerra, appartenenti alla milizia collaborazionista slovena (domobranci), perpetrato dal regime comunista jugoslavo nel maggio del 1945, con la connivenza delle truppe britanniche. Il libro provocò durissime reazioni da parte del regime jugoslavo. Fu osteggiata la pubblicazione e la diffusione delle opere di Pahor che diventò persona non grata. Per alcuni periodi gli venne vietato l’ingresso in Jugoslavia. Nel 1986, Pahor conobbe il filosofo Evgen Bavčar, grazie al quale il romanzo autobiografico Necropoli sulla sua prigionia nel campo di concentramento di Natzweiler-Struthof, trovò il suo primo editore francese rendendo l’autore famoso nel mondo. Romanzo che venne tradotto in italiano quando Pahor aveva 95 anni. Dal 1996 fino al 1991 fu direttore ed editore della rivista triestina Zaliv (Golfo) che si occupava anche di questioni di attualità, ospitando oppositori del regime di Tito e diventando un punto di riferimento per la dissidenza slovena.