Aziende e grandi compagnie pronte a chiudere stabilimenti. Atleti esclusi dalle competizioni. Chiunque e secondo le sue possibilità e sfere di influenza si affretta a prendere le distanze dalla Russia, in seguito all’invasione dell’Ucraina. Eppure in mezzo sanzioni enormi e, forse, destinate a crescere ulteriormente, se ne susseguono altre meno invasive e di cui francamente rimane dubbio il bisogno. In una situazione globale tesissima, c’è chi insiste nella necessitò di sostituire il termine Kiev con Kyiv. Il primo infatti sarebbe riconducibile alla russificazione del Paese e per tale ragione da eliminare, specie in un momento del genere. Meglio, sostengono i puristi la forma Kyiv, perché ribadiva in un’intervista al Guardian Andrii Smytsniuk, professore a Cambridge: «Quando conosco qualcuno, mi piace pronunciare il suo nome nel modo in cui lo pronuncerebbe nella sua lingua».
Moscow Mule, Black e White Russian: anche i cocktail cambiano nome
Il boicottaggio generale non risparmia il food & beverage. L’idea stavolta arriva dai pub e dai locali degli Stati Uniti, dove c’è chi propone di ribattezzare lo storico cocktail Moscow Mule con la forma Kiev Mule, o addirittura trasformarlo in Snake Island Mule, in onore dell’Isola nel mar Nero. Qui qualche giorno fa i soldati Ucraini hanno risposto coraggiosamente agli omologhi russi pronti a sopraffarli. La scelta comunque lascia qualche perplessità. Il drink infatti non ha alcun legame reale con la Capitale russa, ma deve il nome esclusivamente alla vodka, ingrediente principale per la sua composizione. Identica sorte pare toccherà a Capiroska (Capi Island), Black e White Russian, che in alcuni ristoranti sono già passati sulla sponda ucraina del conflitto.

Vodka, il boicottaggio che prende di mira aziende lettoni e britanniche
E proprio attorno alla vodka è nato nelle ultime ore un altro grande controsenso. La tradizionale bevanda, originaria dell’Est Europa, è spesso accostata a Mosca, dove viene consumata in larghe quantità, ma che non può rivendicarne con certezza la paternità, contesa dai polacchi. Accade così che nel tentativo di bandire il prodotto dagli scaffali, si finisca per incappare in clamorose gaffe. È accaduto ancora una volta negli States, dove alcuni alcuni bar hanno eliminato la Stoli Vodka, realizzata da un’azienda lettone con quartier generale in Lussemburgo. Caso simile per Smirnoff, compagnia nata in Russia, ma oggi a maggioranza britannica e con sede in Illinois. A lanciare l’idea anni fa, nel 2013, in realtà era stato il Cassero, circolo Arcigay di Bologna, che in opposizione alle leggi rivolte alla comunità Lgbtq russe aveva deciso non acquistare vodka prodotta a Mosca e dintorni.

Boicottaggio indiretto: il caso Lidl
Così se dalla Federazione internazionale felina viene reso noto di aver espulso tutti i gatti russi dalle competizioni, c’è chi ha adottato perso il boicottaggio indiretto. Troppo morbida la Germania sulla questione Ucraina, in tutta risposta i cittadini polacchi hanno deciso di non fare più la spesa nei supermercati tedeschi, Lidl in testa.

Da Dostoevskij a Firenze, in Italia il boicottaggio della cultura russa
Ma il sentimento dilagante di avversione verso tutto ciò che proviene dalla Russia non risparmia l’Italia. A tenere banco nel nostro Paese è stata l’iniziale decisione dell’Università milanese Bicocca che aveva disposto la cancellazione di un corso su Dostoevskij tenuto dallo studioso Paolo Nori. Una gaffe solo parzialmente rientrata grazie alla successiva marcia indietro. La seconda puntata arriva dalla Galleria dell’Accademia di Firenze. La direttrice Cecilie Hollberg ha depennato dall’esposizione su Pier Francesco Foschi e il Rinascimento le opere in prestito dal museo Puškin di Mosca, perché «è stata trasgredita ogni tipo di frontiera» e non si può correre il rischio «che il prestito di opere a un’importante istituzione come la Galleria dell’Accademia venga strumentalizzato politicamente e usato ai fini di propaganda».
Opposto il punto di vista di Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, che non chiuderà il Museo delle Icone Russe a Palazzo Pitti, pur ribadendo che «in questo momento di embargo economico anche il prestito di opere d’arte è naturalmente interrotto». Aggiungendo che «i rapporti culturali tra Russia e il resto del mondo sono stati faticosamente ricostruiti dopo la seconda guerra mondiale, e non possiamo vanificarli per un’indole punitiva o vendicativa».