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Il Salvador dei bitcoin

Nayib Bukele, leader del Paese centroamericano, renderà la criptovaluta moneta legale. È il più giovane Presidente del continente e non si definisce né di destra né di sinistra: tra un uso smodato dei social, qualche tendenza autoritaria e molte politiche di successo, chi è l’uomo che potrebbe rivoluzionare la finanza globale.

9 Giugno 2021 09:049 Giugno 2021 12:47 Nicolò Delvecchio
Nayib Bukele ha proposto di rendere la criptovaluta moneta legale. Chi è, e perché potrebbe cambiare la finanza globale

Ha vinto le elezioni presidenziali da indipendente, diventando a soli 38 anni il leader più giovane dell’intero continente americano. Ai bagni di folla preferisce i social network, ma è ossessionato dai sondaggi e da ciò che il suo popolo pensa di lui. Usa i suoi profili come un ragazzo normale, alternando post istituzionali ad altri più informali, in cui solitamente indossa un cappellino con la visiera girata (ma spesso le due cose coincidono). Più che al passato, è costantemente orientato al futuro, ma se serve è pronto a far passare le sue proposte di legge con l’aiuto dei militari, come ai vecchi tempi. E, adesso, vuole rivoluzionare la finanza pubblica rendendo i bitcoin moneta ufficiale del suo Paese, El Salvador.

#Btc🇸🇻 https://t.co/x5r0Td6SiQ

— Nayib Bukele 🇸🇻 (@nayibbukele) June 9, 2021


Parliamo Nayib Bukele, 40 anni, Presidente dello Stato centroamericano dal 2019. Un personaggio come ce ne sono pochi, nella politica mondiale. La sua ultima iniziativa si è presa le pagine dei giornali e dei siti di tutto il mondo. Ha infatti presentato al parlamento una proposta per rendere i bitcoin valuta legale nel suo Paese, affiancandoli al dollaro americano (moneta ufficiale del Salvador). Per annunciare il provvedimento aveva usato Twitter, uno dei suoi social preferiti, prima condividendo un video dal titolo abbastanza esplicativo, “Benvenuti nel futuro”, poi aggiungendo gli occhi laser alla sua foto profilo ufficiale, simbolo di sostegno alla criptovaluta.

#NewProfilePic pic.twitter.com/JrMUkryZuk

— Nayib Bukele 🇸🇻 (@nayibbukele) June 6, 2021

Follia o rivoluzione?

Per Bukele, la legalizzazione del bitcoin rappresenta un modo per rendere un po’ più semplice la vita alle tante persone del suo Paese in difficoltà. Un quarto dei salvadoregni vive negli Stati Uniti e circa il 70% della popolazione non ha un conto in banca e lavora in nero. L’anno scorso, nonostante la pandemia, 6 miliardi di dollari sono stati trasferiti dagli Usa al Salvador, così, nel sostenere i vantaggi dei bitcoin, il Presidente ha spiegato come gran parte di quei soldi sia finita nelle tasche degli intermediari. I bitcoin, invece, darebbero vantaggi a un milione di famiglie a basso reddito: «Nel breve termine questo genererà posti di lavoro e contribuirà a fornire inclusione finanziaria a migliaia di persone al di fuori dell’economia ufficiale. Nel medio e lungo periodo speriamo che questa piccola decisione possa aiutarci a spingere l’umanità almeno un po’ nella giusta direzione». La proposta è stata definita da Forbes «una pietra miliare nella storia della politica monetaria, con significative ramificazioni per il sistema finanziario globale».

Nayib Bukele, sindaco a 31 anni

Ma non è solo questa iniziativa a fare di Bukele un personaggio sui generis. Figlio di un imam e imprenditore di origine palestinese, tra i primi ad attivarsi per costruire delle moschee in America Latina, si definisce «credente in Dio, più che in una religione». La questione venne fuori nel 2019, quando fu fotografato in preghiera in una moschea di Città del Messico. «La mia famiglia è cristiana e cattolica, mio padre e altri miei familiari sono musulmani», spiegò, senza però dare ulteriori dettagli sulla scelta della moschea.

Lontano dai rituali e dalle convenzioni della politica tradizionale, Bukele si è imposto subito come un giovane rampante a cui gli schemi stanno particolarmente indigesti. A 18 anni, grazie all’aiuto del padre, ha iniziato la carriera di imprenditore, lavorando soprattutto nel settore pubblicitario e guadagnandosi l’appellativo di «capitalista più popolare nella sinistra salvadoregna».

Sì, perché nonostante il percorso politico di Bukele abbia poi preso una strada leggermente diversa, la sua militanza inizia nel Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (Fmnl), partito di sinistra di cui la sua azienda pubblicitaria curava la comunicazione. Nel 2012, a soli 31 anni, è eletto sindaco di Nuevo Cuscatlan, una cittadina di meno di 7mila abitanti. Appena entrato in carica decide di rinunciare allo stipendio per finanziare delle borse di studio, di aumentare i salari dei dipendenti comunali, di investire nei programmi sociali e di rilanciare l’economia del comune attraverso il turismo e le opere pubbliche: la sua esperienza è così positiva che, nel 2014, viene invitato dalle Nazioni Unite per parlare dei cambiamenti di Nuevo Cuscatlan sotto la sua amministrazione.

Il trasferimento di Bukele nella capitale

Nel 2015 diventa sindaco della capitale, San Salvador, e inizia la sua ascesa politica a livello nazionale. Due anni dopo, però, viene espulso dal Fmnl per aver – secondo i colleghi di partito – chiamato l’avvocatessa Xochiti Marchello «una strega». Nonostante il rigetto delle accuse, Bukele sfrutta l’espulsione per candidarsi alle presidenziali con Grande Alleanza per l’Unità Nazionale (centrodestra) e vince al primo turno. È l’uomo nuovo, quello della concretezza e dei fatti, che ha rivitalizzato un paesino desolato e riportato allo splendore la capitale. E, soprattutto, è esterno a una classe politica vecchia e corrotta.

Scontri con gli altri poteri

I segni di insofferenza rispetto agli altri poteri iniziano a farsi vedere anche prima dell’elezione alla presidenza: nel 2016, in occasione di un processo a suo carico, si scontrò con il Procuratore generale, dicendo che il popolo lo avrebbe «scacciato dal suo ufficio». A questo avvertimento diede seguito presentandosi, sotto gli uffici della procura, scortato da un migliaio di sostenitori. Bukele, allora sindaco, era accusato di aver architettato l’hackeraggio del quotidiano La Prensa Grafica.

Quello tra lui e la stampa è stato sempre un rapporto complicato, e gli attacchi alle testate locali e internazionali (come l’Associated Press) si sono sprecati nel corso degli anni: critiche e insulti sono all’ordine del giorno, e nei confronti della testata El Faro, che aveva sollevato dei dubbi sui suoi affari, aveva promosso un’indagine per riciclaggio di danaro.

L’episodio più clamoroso e inquietante, però, risale al 10 febbraio 2020: per far approvare una legge che avrebbe sbloccato i fondi necessari a far partire un programma sulla sicurezza, Bukele entrò nel Parlamento accompagnato da alcuni poliziotti armati di tutto punto. Nessuna violenza, ma solo un gesto simbolico fortissimo, che ha lasciato i parlamentari senza parole. Secondo Human Rights Watch, El Salvador sta scivolando progressivamente verso «un regime autoritario». Da parte sua, nel commentare l’irruzione armata in Parlamento, Bukele ha dichiarato molto tranquillamente che «se avessi voluto fare un golpe, adesso ci sarebbe già il coprifuoco».

Il consenso per Bukele è alle stelle

Eppure, nonostante tutto, i salvadoregni lo adorano, e gli ultimi sondaggi gli danno un consenso superiore al 70%. Il perché è presto detto: Bukele è riuscito a portare le sue buone politiche locali anche a livello nazionale, riducendo in maniera sensibile la violenza per le strade. Nel 2015 El Salvador era il Paese più pericoloso al mondo al di fuori di quelli in guerra, con oltre 6 mila omicidi all’anno su una popolazione di 6,5 milioni di persone. Nel 2020, a un anno dall’insediamento di Bukele, quel dato è sceso ai minimi storici, fermandosi a 1322: «Prima che arrivassi era impossibile pensare a due giorni consecutivi senza omicidi», ha dichiarato. E oggi, sul suo profilo Instagram, non manca di dedicare un post per ogni giorno senza assassini nell’intero Paese.

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Le sue politiche dure contro la criminalità hanno portato il Paese dai 50 omicidi ogni 100mila abitanti ai 19 di adesso, dati praticamente mai visti prima. Dati che Bukele collega al Piano di Controllo Territoriale, quello approvato dopo l’irruzione nel Parlamento, e che hanno dato a militari e forze dell’ordine il via libera all’uso della violenza, se necessario. Per El Faro, non a caso una delle testate nel suo mirino, il crollo della violenza è da attribuire a dei patti segreti con le gang.

Bene contro il virus

Il governo di Bukele ha anche avuto ottimi risultati nella gestione della pandemia: grazie ai buoni rapporti con gli Stati Uniti ha ottenuto un alto numero di vaccini, e nel 2020 è riuscito, abbinando l’isolamento con gli aiuti diretti alla popolazione (300 dollari), a contenere la diffusione del Covid. El Salvador, tra l’altro, fu il primo Stato centroamericano a mettersi in quarantena.

Il 12 marzo 2020, nell’annunciare una serie di provvedimenti in vista del lockdown (sospensione di affitti, bollette, mutui e altre disposizioni), parlò direttamente agli imprenditori salvadoregni: «Non vi azzardate minimamente ad alzare i prezzi, o vi porterò in carcere uno a uno. Vi preoccupate di dover rinunciare al 10% o al 20% dei vostri guadagni, ma avete soldi che vi permetterebbero di vivere altre 10 vite».

Nessuna ideologia per Bukele

Il suo biografo (sì, ha già un biografo) parla di un uomo che non segue nessuna ideologia: «Bukele è un presidente del XXI secolo, l’ideologia è un approccio del secolo scorso. Per lui non esiste destra o sinistra, ma solo il “noi”, il 98% della popolazione danneggiata dalla corruzione, e il “loro”, il 2% che detiene la ricchezza».

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Anche per questo, forse, usa i social in maniera così disinvolta, pubblicando anche cose tendenzialmente ritenute poco opportune: riuscite a immaginarvi un politico “classico” che associa la sua immagine a un duetto musicale tra Hitler e Stalin? A Bukele non interessa, e lo fa lo stesso.

Dietro una personalità controversa e appariscente, dunque, cosa si cela? Un millennial capriccioso e populista dai modi autoritari o un vero pericolo per il futuro del Salvador? Solo il tempo darà le risposte.

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