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I migranti del Bitcoin

A giugno la Cina ha di fatto vietato la criptovaluta. I “minatori”, quindi, si stanno trasferendo in altri Paesi a seconda della disponibilità di energia. Tra i più gettonati il Kazakistan.

15 Luglio 2021 14:1915 Luglio 2021 14:38 Redazione
A giugno le autorità cinesi hanno di fatto bandito i bitcoin, ma le estrazioni erano in calo già da tempo. E i minatori cercano altri posti.

Il mining di bitcoin, in Cina era già in forte calo prima dell’ultima stretta del governo. Lo ha scoperto il Cambridge Center for Alternative Finance (Ccaf), che ha rilevato come i numeri dell’attività mineraria nel Paese siano calati dal 75,5 per cento del settembre 2019 al 46 per cento dell’aprile 2021. Solo a giugno, però, le autorità di Pechino hanno intimato a banche e piattaforme di pagamento di smettere di supportare le transazioni con la criptovaluta, causandone il crollo dei prezzi. La repressione, tra l’altro, ha causato la scomparsa «dall’oggi al domani tutta la potenza di mining cinese, suggerendo che i minatori e le loro attrezzature si siano messi in movimento», si legge nel rapporto.

Le miniere di bitcoin si spostano

Questo ha portato a una redistribuzione geografica dei “minatori” e della loro attività: da quando la Cina ha sostanzialmente bandito la criptovaluta, il Kazakistan ha visto le attività impennarsi vertiginosamente, diventando la terza nazione al mondo per l’estrazione dei bitcoin. Ciò suggerisce che i minatori siano sempre pronti a spostare i loro “attrezzi del mestiere” di Paese in Paese: «I minatori imballano i container con le piattaforme minerarie, e ora stanno cercando di spedire le loro piattaforme fuori dalla Cina», ha detto David Gerard, autore del libro Attack Of The 50 Foot Blockchain.

Una destinazione particolarmente ambita dai minatori è proprio il Kazakistan, paese ricco di combustibili fossili che generano l’87 per cento dell’elettricità prodotta nel Paese. Astana ha visto crescere le attività di mining dall’1,4 per cento del 2019 – a livello mondiale – all’8,2 per cento dell’aprile 2021. I dati degli analisti di Cambridge hanno poi rivelato i legami tra le fonti di elettricità a basso costo e l’estrazione di bitcoin, con le miniere che vengono appositamente spostate a seconda della disponibilità dell’energia. Così, prima della repressione, l’estrazione mineraria cinese si muoveva dalla regione settentrionale dello Xinjiang a quella del Sichuan a seconda delle stagioni e del tipo di energia prodotta: nei periodi “secchi” le estrazioni avvenivano nella prima regione, e si basavano soprattutto sull’energia derivante dal carbone. Nei periodi delle piogge, invece, i minatori si spostavano nella seconda provincia, più ricca di idrocarburi. Questa migrazione stagionale, si legge nel rapporto, «ha influenzato materialmente il profilo energetico dell’estrazione di bitcoin in Cina», e ha mostrato «la complessità della valutazione degli effetti ambientali dell’estrazione mineraria». A giugno, il Sichuan ha bandito l’estrazione di bitcoin.

Quanto inquinano i bitcoin

I minatori guadagnano denaro creando nuovi bitcoin, ma i computer utilizzati consumano tantissimo. L’estrazione globale richiede una grandissima potenza di calcolo, che a sua volta necessita di enormi quantità di elettricità, quindi contribuisce in modo significativo alle emissioni globali. Il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index del Ccaf mostra che, nel tempo impiegato per scrivere l’articolo, i bitcoin hanno consumato quasi la stessa quantità di elettricità annuale della Colombia.

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