I recenti avvenimenti in Bielorussia e in Russia hanno riportato all’ordine del giorno un vecchio progetto, risalente ancora agli Anni 90: l’unione tra i due Paesi. L’involuzione autoritaria negli ultimi anni al Cremlino, accompagnata dalle tensioni con Unione europea e Stati Uniti dopo la crisi in Ucraina scoppiata nel 2014, e il pluridecennale duello tra il dittatore Alexander Lukashenko e l’intero Occidente precipitato dopo le elezioni truccate del 2020 e la dura repressione, hanno spinto Mosca e Minsk a riprendere il filo di un discorso avviato ai tempi di Boris Yeltsin. Se allora appariva un tentativo velleitario di legare in qualche modo due repubbliche ex sovietiche dopo la deflagrazione centrifuga del crollo dell’Urss, oggi la possibilità è molto più concreta. E se oltre 20 anni fa, con Yeltsin malandato e la Russia in preda agli oligarchi, era Lukashenko a fare un pensierino alla guida dell’Unione, ora è Vladimir Putin che detta le regole per prendere due piccioni con una fava: annettere di fatto la Bielorussia e sbarazzarsi di un alleato scomodo. Come ha fatto capire però lo stesso presidente russo lo scorso fine settimana quando ha incontrato il suo omologo a Soci si tratta di un processo che andrà fatto passo dopo passo, senza troppa fretta.
Il primo Accordo di amicizia tra Russia e Bielorussia risale al 1995
La rincorsa è stata presa da lontano, visto che il primo Accordo di amicizia, buon vicinato e collaborazione tra Russia e Bielorussia risale al 1995, e appena un anno dopo fu firmato quello per la formazione dell’Unione fra i due Stati, che prevedeva la costituzione di alcuni organi in comune, come l’Assemblea parlamentare e il Consiglio di Stato, e anche un’integrazione economica e finanziaria, a partire da una valuta comune. Il vero e proprio accordo di Unione venne sottoscritto nel 1997, superato però nel 1999 da un nuovo Trattato per la creazione dell’Unione statale tra Russia e Bielorussia. In realtà nessuno di questi accordi fu mai applicato in toto e solo alcuni elementi rimasero nel corso degli anni. La questione iniziò ad approfondirsi, almeno sul versante economico, quando Putin lanciò all’inizio dello scorso decennio il progetto di Unione doganale anche con le altre repubbliche ex sovietiche, e le relazioni con la Bielorussia cominciarono a intensificarsi, in concomitanza con la spirale tra elezioni manipolate, proteste, repressioni e sanzioni occidentali cominciata a Minsk nel 2010.

Per anni Lukashenko ha tenuto il piede in due scarpe: Mosca e Bruxelles
Tra le repubbliche dell’ex Unione Sovietica la Bielorussia è stata quella con cui la Russia ha avuto e ha più stretti rapporti, nonostante i due leader non si siano mai amati molto. Putin ha sempre considerato Lukashenko un partner problematico, ma necessario; da parte sua Lukashenko si è servito della Russia e del suo appoggio economico per cementificare il proprio sistema. Da quando è stato eletto per la prima volta presidente nel 1994 spesso ha tentato di tenere il piede in due scarpe, facendo l’equilibrista fra Russia e Unione europea, adesso però il gioco pare finito. Dopo quasi un trentennio il regime è arrivato alla frutta e la sua sopravvivenza dipende solo da quando il Cremlino deciderà di staccargli la spina.

Il prossimo passo probabilmente la creazione di una base militare russa in Bielorussia
L’opzione dell’Unione tra i due Stati si fa dunque sempre più realistica e sta passando attraverso l’aggiornamento degli schemi preparati tempo fa. L’integrazione è già avvenuta in diversi settori, il legami economici e finanziari non si possono tranciare, il prossimo passo sarà quello probabilmente di una base militare russa fissa sul territorio bielorusso. Una sorta di ipoteca sul futuro come è accaduto in altre repubbliche dell’ex Urss, dal Kirghizistan all’Armenia, passando per quella che una volta faceva parte dell’Ucraina, cioè la Crimea. Le trattative avvengono dietro le quinte, poco trapela all’opinione pubblica, quel che è certo però è che il prezzo che Putin chiederà alla fine a Lukashenko sarà comunque molto alto.