Lukashenko e i rischi dell’alleanza della Bielorussia con Putin

Stefano Grazioli
03/05/2022

Il dittatore è sopravvissuto politicamente grazie a Putin, ma non vuole affondare con l'alleato di ferro. Così Minsk mette le mani avanti, tentando di riaprire i canali con l'Occidente anche se gli spazi di manovra sono ristretti.

Lukashenko e i rischi dell’alleanza della Bielorussia con Putin

È sceso un velo mediatico sulla Bielorussia. Protagonista alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina e nelle prime settimane del conflitto, con tanto di promesse di stazionamento di armi atomiche entro i propri confini, Alexander Lukashenko si è progressivamente eclissato. Quasi tre mesi fa iniziavano le esercitazioni congiunte tra Mosca e Minsk che sarebbero sfociate nell’attacco del 24 febbraio, anche da Nord verso Kyiv, su più direttrici dal confine bielorusso. Nella prima fase della guerra, con il tentativo russo di arrivare alla Capitale, la Bielorussia ha giocato un ruolo logistico importante e il suo presidente ha ingaggiato la guerra della propaganda a fianco di Vladimir Putin. Senza però mai entrare direttamente nel conflitto.

Il debito di Lukashenko nei confronti di Putin

Dopo che il 25 marzo lo stato maggiore russo ha dichiarato conclusa la prima fase dell’operazione militare e ha dato il via alla seconda, concentrandosi nell’Est e nel Sud del Paese, di Lukashenko si è persa quasi traccia, fatta eccezione per una comparsata a metà aprile al fianco di Putin: dimostrazione di un’alleanza che sarà anche salda, ma che di questi tempi è messa alla prova. Quello che tiene insieme i due autocrati è il fatto che hanno poche alternative. Lukashenko, dopo le elezioni truccate del 2020, le proteste seguite dalla dura repressione e l’isolamento occidentale fatto anche di dure sanzioni, ha dovuto ripiegare sull’aiuto di Putin per mantenere in vita il sistema autoritario creato nel 1994. Durante il 2021 i due Paesi si sono avvicinati notevolmente, con la prospettiva di un’integrazione economica e politica voluta con forza da Putin nonostante le resistenze di Lukashenko che probabilmente, come altre colombe nei corridoi del Cremlino, non era convinto di una guerra voluta soprattutto dal leader russo e dalla cerchia sempre più potente dei siloviki, gli uomini dell’apparato militare e di sicurezza, dal ministro della Difesa Sergei Shoigu al capo dell’Fsb Alexander Borntikov passando per il capo del Consiglio di sicurezza Nikolai Patrushev.

Guerra in Ucraina: perché la Bielorussia di Lukashenko ha tutto da perdere
Svetlana Tikhanovskaya leader dell’opposizione bielorussa in esilio (Getty Images).

Minsk cerca di riaprire il dialogo con l’Occidente e l’Ue

Lukashenko è sopravvissuto insomma grazie a Putin, ora però non vorrebbe affondare insieme a lui. E a scanso di equivoci a Minsk hanno già messo le mani avanti, tentando di riaprire quei canali con l’Occidente rimasti chiusi per quasi due anni. A parte i tentativi di mediazione all’inizio del conflitto, più che altro velleitari, con i primi negoziati tra Russia e Ucraina tenutisi in Bielorussia, all’inizio di aprile il ministro degli Esteri di Minsk Vladimir Makei ha mandato una lettera ai governi dell’Unione europea auspicando il ritorno del dialogo per superare il blocco delle relazioni bilaterali e riprendere il filo dei tempi migliori. E a questa si sono aggiunti i recenti rumors, non confermati, di un approccio bielorusso al Vaticano come mediatore. Il problema per Lukashenko è che Bruxelles non lo riconosce come presidente legittimo e al suo posto punta su Svetlana Tikhanovskaya, seconda alle elezioni di due anni fa e ora in esilio.

Lukashenko e i rischi dell'alleanza della Bielorussia con Putin
Lukashenko e Putin (Getty Images).

Il rischio del ritorno dei foreign fighter che combattono a fianco dell’Ucraina

Lukashenko è sempre stato un maestro degli equilibrismi e anche in questo frangente, con le forze armate bielorusse non coinvolte direttamente nella guerra in Ucraina, sta cercando di non cadere del tutto nella rete del Cremlino. Gli spazi di manovra, a livello internazionale, sono però davvero ristretti e i problemi a casa tutt’altro che risolti, sono subordinati alle priorità del conflitto. A Minsk si potrebbe rafforzare l’ala partigiana che è uscita allo scoperto nelle azioni di sabotaggio e c’è l’incognita di quei bielorussi che hanno preso le armi e ora, appena oltre la frontiera, sono diventati foreign fighter nelle milizie regolari straniere affiancate all’esercito ucraino. Al di là di come andrà a finire a Kyiv, è certo che i combattenti di ritorno potranno essere una spina nel fianco del regime.