I ricatti di Lukashenko

Redazione
13/08/2021

Da qualche settimana la Bielorussia manda centinaia di migranti provenienti dal Medio Oriente alle frontiere con Lituania, Polonia e Lettonia, affinché chiedano asilo in Ue. È la risposta di Minsk alle sanzioni di Bruxelles, inflitte dopo l'arresto dell'oppositore Protasevich.

I ricatti di Lukashenko

Prelevano migranti dal Medio Oriente, li portano in Bielorussia e li lasciano al confine con la Lituania, per far sì che entrino in Unione europea e chiedano asilo a Bruxelles. Questo schema, che secondo la Ue il presidente Aleksandr Lukashenko porterebbe avanti da tempo, ha fatto sì che, dall’inizio dell’anno, circa quattromila migranti arrivassero in Lituania dalla vicina “Russia bianca”. Provengono soprattutto dai territori siriani e iracheni occupati dall’Isis, molti – come riporta la Cnn – sono yazidi, minoranza musulmana perseguitata dallo Stato Islamico, ma ce ne sono anche di originari dell’Africa subsahariana. Cosa c’entrano però con Vilnius? Poco, o forse tutto.

Perché la Bielorussia li starebbe usando per rispondere alle sanzioni imposte dall’Unione europea dopo il dirottamento dello scorso 23 maggio di un volo Ryanair destinato a Vilnius, e finalizzato all’arresto del giornalista – dissidente del regime di Lukashenko – Roman Protasevich. Da allora, i rapporti tra Minsk e i suoi vicini, in particolare la Lituania, sono pessimi. E non solo per l’episodio dell’aereo, che ha gettato nuovamente luce sullo stato della democrazia e dei diritti nel Paese, ma anche perché Vilnius offre da tempo rifugio sicuro agli oppositori politici del regime. Svetlana Tikhanovskaya, la principale avversaria di Lukashenko alle presidenziali del 2020, fuggì nel Paese baltico proprio dopo i risultati di quelle elezioni, che decretarono ancora una volta vincente il leader in carica. I risultati furono contestatissimi, e da lì nacquero violenti scontri tra manifestanti e autorità repressi con forza dal regime, ma mai realmente sopiti.

La Lituania e il muro con la Bielorussia

Il meccanismo è stato temporaneamente fermato dalla Lituania, che ha stretto i controlli all’ingresso e approvato a luglio una legge, molto contestata da gruppi per i diritti umani, che limita tantissimo il diritto all’asilo e che permette alle autorità di espellere subito i richiedenti le cui domande siano respinte, senza aspettare l’appello. E non solo, perché l’11 agosto il parlamento di Vilnius ha approvato la costruzione di un muro lungo oltre 500 chilometri per blindare il confine con la Bielorussia. Costerà 150 milioni di euro, e i lavori inizieranno con la massima urgenza. Nel frattempo, è aumentato il pattugliamento dei militari lituani al confine, fino ad ora delimitato solamente dalla fitta boscaglia.

La svolta militaresca della Lituania ha così spinto Lukashenko ad applicare lo stesso meccanismo anche con Polonia e Lettonia, gli altri vicini della Ue. Anzi, per mostrare come non sia lui il “cattivo” della situazione, il presidente ha organizzato una trasferta nei pressi del confine lituano per far vedere ai giornalisti occidentali come siano gli altri quelli aggressivi. «Nonostante i nostri accordi», hanno detto le autorità bielorusse ai reporter della Cnn, «i lituani cercano di portare illegalmente al confine bielorusso i rifugiati che hanno chiesto asilo nell’Unione europea, per spingerli nel territorio bielorusso con la forza e la violenza». Per Minsk, le persone in questione sono arrivate in Bielorussia come turisti e da lì, volontariamente, hanno deciso di incamminarsi verso l’Ue. «Io non fermerò nessuno. Non siamo la loro destinazione finale: loro vogliono andare nella luminosa, calda e accogliente Europa», ha detto a proposito lo stesso Lukashenko. Se nell’ultima settimana gli arrivi in Lituania sono scesi a zero, non si può dire lo stesso degli altri vicini: nella giornata di lunedì 349 persone sono entrate in Polonia, 149 con la Lettonia (che ha dichiarato lo stato di emergenza al confine).

La Bielorussia e i dissidenti

Ma l’utilizzo dei migranti come arma di pressione sull’Unione europea è solamente l’ultimo motivo per cui si torna a parlare di Bielorussia. Nei mesi scorsi, lo abbiamo accennato, c’era stato l’episodio dell’arresto di Roman Protasevich, giornalista 26 enne fondatore di Nexta, una delle poche voci di opposizione nel Paese. Le autorità bielorusse avevano giustificato l’operazione perché Protasevich era stato accusato di “atti di terrorismo”, e con lui era stata arrestata anche la fidanzata Sofia Sapega. Poco dopo, era apparso un video dell’attivista (con in volto segni compatibili con percosse) dal carcere, in cui confessava di aver compiuto gli atti contestati – punibili con 15 anni di carcere – e dichiarava di star bene.

La macchina della repressione non si è fermata nemmeno durante le Olimpiadi. La 24 enne velocista bielorussa Kristina Timanovskaja, iscritta all’ultimo momento dal comitato olimpico bielorusso alla staffetta 4×400, aveva osato criticare la scelta di costringerla a partecipare a una gara senza interpellarla: «Come al solito la nostra meravigliosa leadership decide per noi. Queste sono le Olimpiadi, non uno scherzo!». Apriti cielo: Timanovskaja non ha partecipato alla gara, anzi è stata prelevata dal villaggio olimpico per farla rientrare con la forza in Bielorussia. E i media, che l’avevano prima esaltata, non hanno esitato a definirla «una vergogna per la nazione» dopo quelle dichiarazioni immortalate in un video sui social.

«Stanno cercando di portarmi via senza permesso», era riuscita a comunicare sui social, ottenendo all’ultimo rifugio nell’ambasciata polacca di Tokyo grazie all’intercessione del governo giapponese. Da lì è rientrata in Europa, e adesso è a Varsavia col marito. Secondo i media bielorussi soffre di “problemi psichiatrici”, ma la verità è evidentemente un’altra: nessuna piccola defezione, nessuna critica diretta non necessariamente a Lukashenko, ma alle autorità bielorusse in senso lato (in questo caso, il comitato olimpico) non può essere tollerata, e va punita. A Timanovskaja è andata bene, per ora. Altri non possono dire lo stesso.