Bicamerale, cosa è la proposta della Meloni per discutere del presidenzialismo
Cos'è la "Bicamerale" a cui fa riferimento Giorgia Meloni quando parla di introdurre il presidenzialismo? Ecco cosa fa la commissione.
Cos’è la bicamerale? La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha avanzato la proposta di cambiare il sistema istituzionale italiano, introducendo una riforma in senso presidenzialista. Durante la trasmissione Porta a Porta, ha dichiarato: «Io ho proposto il semi-presidenzialismo alla francese. Ho detto subito che ero pronta a discutere altri modelli. La Bicamerale è una delle soluzioni. Sono aperta al dialogo su una materia sulla quale penso si debba intervenire coinvolgendo tutti al massimo».
Cos’è la bicamerale?
Quando Giorgia Meloni parla di “Bicamerale” fa riferimento alla commissione per le riforme costituzionali. Le commissioni sono degli organi parlamentari che servono a far fronte a specifiche questioni. Ne esistono di permanenti e straordinari e si occupano delle più svariate materie. Le commissioni alla Camera e al Senato sono 14 e riguardano, per esempio, Agricoltura, Affari Sociali, Lavoro, Giustizia. Tra queste ce ne sono alcune bicamerali, che, cioè, hanno al loro interno sia deputati che senatori. Di solito si tratta di commissioni con funzioni consultive, o di inchiesta e controllo. Un caso esemplare è quello della commissione di Vigilanza Rai, che monitora il servizio pubblico televisivo.

La commissione per le riforme costituzionali, identificata con il solo nome “Bicamerale”, è una commissione che viene istituita per tentare una riforma della Costituzione. Nella storia italiana è stata convocata tre volte, ma sempre senza risultati particolare. Introdurre il presidenzialismo, così per come ha dichiarato Giorgia Meloni, presupporrebbe il richiamo della Bicamerale.
Come si introduce il presidenzialismo?
«La Bicamerale è una delle soluzioni», ha detto Giorgia Meloni. Non è infatti l’unica. Secondo l’articolo 138, infatti, le leggi di revisione costituzionale possono essere adottate «da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione». Inoltre, se le Camere approvano la modifica con una maggioranza di due terzi dei membri, per confermarla non è neanche necessario indire un referendum popolare, che può essere invece richiesto in caso di maggioranza assoluta da cinquecentomila elettori, o da cinque consigli regionali, o da un quinto dei membri di Camera o Senato.
