Se ne è andato, stroncato da un tumore, a 78 anni, Bernard Tapie, tra i protagonisti della finanza, dello sport e della politica francesi tra gli Anni 90 e l’inizio del decennio scorso. Se però della sua attività imprenditoriale e della lunga parentesi sportiva si è detto e scritto molto (dalle spericolate acquisizioni di aziende decotte e poi rilanciate e cedute, all’acquisizione del marchio Adidas, per cui ingaggiò una pluriennale e inutile “guerra” con lo Stato francese, a quella di alcuni giornali locali, a cominciare dal quotidiano Provence; dalle imprese sportive nel ciclismo e soprattutto nel calcio, con l’acquisto dell’Olympique Marsiglia che portò a vincere quattro scudetti di seguito e una finale di coppa dei campioni, era il 1993, contro il Milan di Silvio Berlusconi, per poi essere condannato per una storiaccia di corruzione sportiva), un po’ meno si ricorda della sua attività politica.
Un posto di diritto nella schiera dei leader populisti
Socialista di formazione, fu anche ministro delle Città, dal 1992 al 1993, con la presidenza Mitterrand, per poi fondare un suo movimento, Énergie Radicale, che ottenne un sorprendente 12 per cento e 13 seggi alle elezioni europee del 1994, ma scioltosi pochi mesi dopo. Mentre nel 2007 dichiarò di votare per Sarkozy, non condividendo il programma proposto dalla candidata socialista Ségolène Royal. In effetti, Tapie non è mai stato un socialista ortodosso, e di lui si ricorda la grande capacità di interloquire – e interagire – con la sinistra così come con la destra, e, soprattutto, si ricorda il suo modo populista di fare politica. Non a caso, storici e politologi come Marco Tarchi o Pierre-André Taguieff, nei loro preziosi studi, non hanno esitato a inserirlo nella lunga schiera dei leader appunto populisti, che comprende, per esempio, nomi come quelli di Perón, della Thatcher, di Haider, di Ross Perot (il magnate americano col pallino della politica), Umberto Bossi, Chávez, Walesa, e così via.

Stesso stile politico ed estetico di Berlusconi
Taguieff, in particolare, lo inserisce nella schiera dei cosiddetti “demagoghi telegenici” o “telepopulisti”, outsider senza alcun legame partitico e protagonisti (come ad esempio il già citato Perot, il brasiliano Collor de Melo, l’argentino Menem, il peruviano Fujimori, il panamense Ruben Blades, il reverendo Jesse Jackson, Chávez, Pim Fortuyn e Berlusconi) di una terza fase estensiva del fenomeno populista, dopo la prima degli Anni 80, caratterizzata da un deciso indirizzo conservatore e di destra, rappresentato da Margareth Thatcher, Ronald Reagan, Jean Marie Le Pen, Jörg Haider, e la seconda, tutta russa, simboleggiata da Boris Eltsin, Vladimir Zhirinovsky e il generale Aleksandr Ivanovič Lebed. In realtà, l’accostamento più gettonato è quello con il Cavaliere di Arcore, tanto che i media battezzarono subito Tapie il «Berlusconi d’Oltralpe». Non tanto per le idee quanto (oltreché per la ricchezza e gli svariati interessi in comune, dall’imprenditoria e la finanza, dal calcio ai media alla politica) per lo stile politico e anche estetico: Tapie era un inguaribile piacione e la sua carriera, ancorché scarsa, di cantante e attore cinematografico e televisivo non fece che acuire questo aspetto della sua personalità.
Un precedente francese: Coty, il populista nero
Rileggendo la sua parabola politica, oltre ai nomi citati, non si può non riandare con la memoria – siamo negli anni tra le due guerre mondiali – a un curioso precedente sempre francese, con l’avvertenza che, in questo caso, si tratta di una vicenda politicamente molto più radicale ed estremista: quello di François Coty, al secolo, François Spoturno, fondatore dell’omonimo e ricchissimo gruppo che produceva profumi (il gruppo è ancora tra i leader mondiali del settore, seppure ora passato a una proprietà statunitense) col pallino per i giornali e soprattutto per la politica. Se l’amore per carta stampata lo portò ad acquistare Le Figaro e Le Gaulois, quello per la politica lo vide prima parlamentare bonapartista e sindaco di Ajaccio (dove era nato) e quindi, trasferitosi a Parigi, creatore, nel 1933, di un piccolo movimento populista e filofascista, la Solidarité Française.

L’amico del popolo contro i privilegi della casta
Il movimento prese vita attorno a un giornale, L’ami du peuple (creato nel 1928), dalle cui colonne, Coty lanciò incessanti e aggressive campagne populiste contro i privilegi della casta politica, l’alta finanza giudeo-americana, la massoneria e le oligarchie finanziarie. E forte di un pubblico stimabile attorno ai 200 mila lettori, l’imprenditore/politico pensò che fosse giunto il momento di trasformare il movimento di opinione che era riuscito a coagulare attorno al proprio giornale in un movimento politico vero e proprio. Ma fece male i propri conti: solo un decimo dei lettori si trasformarono in militanti attivi (di cui almeno 5 mila concentrati nella sola Parigi) – per lo più militari, commercianti, commessi e piccoli proprietari – e il disegno politico del profumiere milionario si arenò presto. Diciamo che, paradossalmente, Coty ebbe più successo attraverso un altro movimento, da lui patrocinato, ma non guidato, quello della Croix de Feu, nato nel 1927 come organizzazione di ex militari e trasformato in vero e proprio movimento politico e unitosi, nel 1933, ai Volontaire nationaux, raggiungendo quasi 60 mila iscritti e ottenendo una grande visibilità, tanto da essere percepito dagli avversari, nonostante le dimensioni pur significative ma non certo imponenti, come il vero pericolo fascista. Coty morì nel 1934, soltanto un anno dopo la fondazione del suo movimento, e il suo impero (oltre all’azienda cosmetica, Coty possedeva numerose ville, castelli, appartamenti un po’ in tutta la Francia) venne sequestrato e spartito tra i creditori, dato che l’attività politica lo aveva costretto a un grande indebitamento. La vedova mantenne solo la proprietà di qualche immobile e de Le Figaro che cedette però negli Anni 60.