Silvio Berlusconi colpisce ancora. L’imprevedibilità delle sue uscite d’altronde è un marchio di fabbrica. Valeva ai tempi d’oro in cui primeggiava sul palcoscenico politico e vale a maggior ragione oggi proprio perché non può sopportare di essere relegato ai margini della scena. E così anche ieri, all’uscita dal seggio ha dato nuovamente fuoco alle polveri. Con il nuovo attacco a Zelensky e la critica alla premier, tra l’altro proprio mentre Giorgia Meloni sta organizzando un viaggio a Kyiv, Berlusconi è riuscito in un colpo solo a puntare tre bersagli contemporaneamente. Il primo è proprio la presidente del Consiglio, la «piccolina» come era solito definirla, ma anche «supponente, prepotente, arrogante», stando ai suoi appunti carpiti dai teleobbiettivi in Senato nelle ore calde in cui la premier in pectore era alle prese con la formazione dell’esecutivo. Al Cav, però, che da sempre compulsa i sondaggi, non è sfuggito neppure quanto l’opinione pubblica si stia “stancando” della guerra in Ucraina. Quale occasione migliore, dunque, dei seggi aperti per il voto in Lombardia e nel Lazio per ergersi a paladino della pace à la Putin, e cercare di guadagnare qualche voto? Le Regionali del resto sono un test importante per Forza Italia che, soprattutto in Lombardia, è insidiata da FdI e Terzo Polo.

L’uscita contro Zelensky è stata apprezzata a Mosca
Poi c’è il bersaglio più grosso per il Cav e cioè l’amico Vladimir Putin. E qui nessuno stupore: Berlusconi ha solo ripetuto ciò che davvero pensa. La sua ennesima difesa di Mosca è stata apprezzata dalle parti del Cremlino. «Non spetta a me giudicare e dare i voti a Berlusconi, queste sono cose che riguardano gli italiani», ha commentato puntuale la portavoce del ministro degli Esteri Lavrov Maria Zacharova. «Mi limito ai fatti, e i fatti dicono che per otto anni, dal 2014, la Russia ha insistito perché fossero applicati gli accordi di Minsk per la pace in Ucraina. Ma questo non era quello che l’Occidente aveva in mente». E condannata da Kyiv: «Berlusconi è un agitatore vip che agisce nel quadro della propaganda russa, baratta la reputazione dell’Italia con la sua amicizia con Putin. Le sue parole sono un danno per l’Italia», è stato il commento secco di Mychailo Podolyak, consigliere di Zelensky. Il legame di B con il capo del Cremlino del resto è di vecchia data, un’amicizia che da Pratica di Mare nel 2002 si è andata via via consolidando e cementando con scambi di regali e vacanze insieme. D’altronde, per Berlusconi è sempre stato e rimane motivo di vanto la famosa stretta di mano Putin-Bush che ebbe luogo proprio durante quel vertice. E, di contro, causa di amarezza la distanza che si è creata con il leader del Cremlino a causa della guerra. Almeno fino al riavvicinamento sancito dalle 20 bottiglie di vodka che, come ha raccontato il Cav stesso ai suoi parlamentari, Putin gli avrebbe inviato in occasione del suo compleanno a settembre scorso. Dono che è stato ricambiato con bottiglie di lambrusco.

Berlusconi, megafono del verbo putiniano
Ecco, il rapporto con Putin val bene qualche uscita sopra le righe. Anzi più di una. Del resto, pure alla vigilia delle elezioni politiche, ospite di Porta a Porta, il Cav non si fece scrupoli nel difendere l’amico: «Le truppe russe dovevano entrare e in una settimana sostituire il governo di Zelensky con persone per bene e ritornare indietro. Invece hanno incontrato una resistenza imprevista e imprevedibile da parte delle truppe ucraine che poi sono state foraggiate con armi di tutti i tipi da parte dell’occidente», disse. A maggio scorso, poi, da Napoli, tornò a ribadire il suo pensiero: «Credo che l’Europa debba fare una proposta comune di pace cercando di far accogliere agli ucraini le domande di Putin». Senza dimenticare gli audio diffusi il 18 ottobre scorso dall’agenzia LaPresse con Berlusconi che, ripetendo il verbo putiniano, spiegava ai suoi deputati la guerra in Ucraina e come fosse nata l’«operazione speciale», per poi autocensurarsi sul presidente ucraino: «Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Perché non c’è nessun modo possibile. Zelensky, secondo me… lasciamo perdere, non posso dirlo».

L’imbarazzo di Tajani e i timori di uno strappo
Una autocensura che tuttavia non c’è stata ieri. Il leader azzurro, infatti, ha detto senza mezzi termini: «Da premier non avrei parlato con Zelensky che non doveva attaccare il Donbass». E se ancora non fosse chiaro ha aggiunto: «Giudico negativamente questo signore». Parole che difficilmente possono essere smentite e che sono una mina per la tenuta del governo. Il tweet del ministro degli Esteri Antonio Tajani, quel sottolineare che «Forza Italia è da sempre schierata a favore dell’indipendenza dell’Ucraina, dalla parte dell’Europa, della Nato e dell’Occidente», trasuda imbarazzo. La chiosa poi – «In tutte le sedi continueremo a votare con i nostri alleati di governo rispettando il nostro programma» -, tradisce anche molti timori. Il pensiero corre alla crisi del governo Letta nel 2013, quando Berlusconi chiese ai ministri del Pdl di dimettersi. Al titolare della Farnesina sarà subito tornata in mente la vicenda di Angelino Alfano che poi nei mesi a seguire abbandonò la casa azzurra per fondare Ncd. Dentro Forza Italia sanno bene che non c’è nessuna aria di crisi all’orizzonte, almeno per ora.

La frenata del Cav sulla Rai contro Fdi
Anche se gli attacchi di Berlusconi non possono essere liquidati come sfoghi di un attempato capo magari ringalluzzito dalla vittoria del suo Monza, allergico alle leadership femminili, e nostalgico dei tempi andati. L’ex premier infatti ha bocciato anche l’ipotesi caldeggiata da Fratelli d’Italia di accelerare il cambio dei vertici Rai, approfittando delle polemiche sul Festival di Sanremo. Anche in questo caso, Silvio non ha esitato a esternare i suoi dubbi: «Non voglio assolutamente arrivare a questo, dico semplicemente che mi piacerebbe che la televisione pubblica faccia il suo mestiere di televisione pubblica», ha tagliato corto il padre del famoso ‘editto bulgaro’. Insomma, Berlusconi non ha alcuna intenzione di essere messo in un angolo né nella compagine di governo né all’interno del suo partito. Per questo i suoi messaggi sono indirizzati anche ai suoi. La recente preferenza espressa in confidenza da Silvio per Letizia Moratti in Lombardia, seppure subito smentita, ne sarebbe la prova. In questo caso, stando a quanto si sussurra nei corridoi, l’intento del Cav sarebbe stato quello di ridimensionare il protagonismo della capogruppo di Fi al Senato, Licia Ronzulli, da sempre in asse con la Lega.