Ieri è un altro giorno

Gianfranco Ferroni
20/01/2022

B. kingmaker della partita per il Quirinale, Grillo sfotte Letta e a Roma si promettono energia pulita e posti di lavoro. Non è cronaca di questi giorni, ma i titoli di un quotidiano del 2013. Prova che, politicamente parlando, l'Italia è immobile.

Ieri è un altro giorno

Cosa c’è stato di nuovo politicamente nel Belpaese dal 2013 a oggi? Nulla. Come nel Gattopardo, l’Italia dimostra di “cambiare perché nulla cambi”. Dall’archivio riemerge improvvisamente la copia di un giornale di quasi nove anni fa. Il titolo della prima pagina? “Renzi: il Pd è da ricostruire”. Matteo si dimostra fedele alla sua linea, e il suo ex partito finisce implacabilmente nel mirino pure a distanza di tanti anni. Si tratta della lettura di un vecchio quotidiano (Il Messaggero del 22 aprile 2013), ma è solo l’inizio di un viaggio nella politica nazionale, sempre uguale, chiamata a ripetersi all’infinito, o quasi. Tra i protagonisti ecco Beppe Grillo, che quando si parla di Giuliano Amato ne delinea il profilo: «L’ex tesoriere di Bettino Craxi». E su Enrico Letta afferma: «Quello che di professione fa il genero o il nipote, non l’ho mai capito, dell’altro Letta». Nel 2021 Beppe fa apparire Giuseppe Conte, ma il suo pensiero sulle persone rimane quello.

perché in Italia la politica non cambia mai
Silvio Berlusconi e Angelino Alfano (Getty Images).

Quando Alfano descriveva «Berlusconi come vincitore assoluto della vicenda Quirinale»

Erano le giornate del mandato bis di Giorgio Napolitano, e pure allora il Cavaliere appariva sulla scena con le sue ambizioni quirinalizie, tanto da far dire ad Angelino Alfano, allora leader del centrodestra: «Silvio Berlusconi è apparso come un vero statista». Ribadendo subito dopo: «Che il vincitore assoluto della vicenda Quirinale sia Berlusconi che si è dimostrato ripeto uno statista con altissimo senso di responsabilità, mi pare evidente». Angelino non fa più parte della politica, Silvio sì. Le stesse affermazioni pro Cavaliere oggi le possiamo attribuire a Antonio Tajani, Mariastella Gelmini e Licia Ronzulli, senza alcuna difficoltà né paura di smentite: il copione è lo stesso, basta ripeterlo.

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Roma, cambiano candidati e giunte ma le promesse restano le medesime

Anche quando i nomi emergono dal passato, pur se velocemente dimenticati nel frattempo, i contenuti restano identici. Oggi il primo cittadino romano è Roberto Gualtieri, ma quando si arriva alle pagine capitoline di quel 2013, ecco Alfio Marchini che promette: «A Roma, quando diventerò sindaco, punteremo su forme alternative di produzione di energie, come la cogenerazione. Con la quale, in 12 mesi, creeremo 2.500 posti di lavoro a tempo indeterminato utilizzando 450 milioni di euro di finanziamenti privati, per un risparmio alle famiglie di 450 euro all’anno sulle bollette. Sono cose che ho fatto da imprenditore e so di cosa parlo». Lui non è diventato sindaco, ma il problema è sempre attuale. Con l’energia elettrica e il calore che hanno raggiunto prezzi astronomici a causa dell’inazione della politica.

L'Italia non cambia mai: i quotidiani del 2013 e quelli di oggi a confronto
Alfio Marchini (Getty Images).

Franceschini e M5s: è arrivato il momento del perdono?

L’unica novità dei giorni nostri è quella del governo delle larghe intese, con il Pd a fianco dei grillini nello stesso esecutivo presieduto da Mario Draghi. Sembra quindi estratto da un libro delle favole il testo, apparso su Twitter, firmato da Dario Franceschini, con lui costretto a difendersi dagli assalti verbali di alcuni manifestanti in una serata primaverile: «Sono in una trattoria. Passano centinaia di grillini che mi vedono, mi filmano, mi insultano».

 

Franceschini si trovava nell’Hostaria Romana in via Rasella, a due passi da via del Tritone: all’epoca l’episodio provocò una durissima reazione di Enrico Letta che oltre alla solidarietà all’amico Dario sottolineò che «tra la violenza verbale e quella fisica il passo è breve». Il Movimento 5 stelle si dichiarò «estraneo» all’aggressione, e la deputata Patrizia Terzoni disse, rinviando la palla a sinistra: «Ero presente, alcuni esponenti del Partito comunista hanno riconosciuto Franceschini e lo hanno contestato». Franceschini, per la cronaca, uscì poi dalla trattoria per calmare gli animi, pronunciando una frase divenuta celebre: «C’è gente a tavola che non c’entra niente». E un manifestante replicò: «Lei sì, però». Dicono che Franceschini, da buon ex democristiano, è sempre disposto a perdonare: sarà un caso, ma nel ministero della Cultura che lui adesso guida non esiste un sottosegretario grillino, c’è solo la leghista Lucia Borgonzoni. Quindi nulla è cambiato, nel rapporto tra Dario e il mondo dei pentastellati. Se però oggi quelli del M5s facessero il suo nome per il Quirinale, la riappacificazione sarebbe totale. L’ennesima dimostrazione che nulla cambia, quando al centro delle attenzioni c’è il potere. Perché oltre al Gattopardo, c’è un’antica massima da rispettare, quella dove ogni storia italica finisce a “tarallucci e vino”.