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Techno berlinese da Unesco

Colonna sonora del processo di riunificazione della Germania, il genere rappresenta uno spaccato importante della cultura e delle tradizioni del Paese. Per salvaguardarla, deejay e impresari ne hanno richiesto la tutela come patrimonio immateriale.

6 Dicembre 2021 12:466 Dicembre 2021 12:55 Camilla Curcio
I deejay berlinesi chiedono all'Unesco di riconoscere la musica techno come patrimonio culturale

La musica techno potrebbe diventare patrimonio dell’Unesco. La richiesta è stata avanzata da deejay e impresari di Berlino, dove il genere è un vero e proprio manifesto culturale. Quando, nel 1989, il Muro che separava le due Germanie è caduto, quei beat meccanici nati a Detroit negli Anni 80 sono diventati la colonna sonora della riunificazione del Paese. E, tra palazzi abbandonati e fabbriche dismesse, ragazzi e ragazze hanno iniziato a ballare sulle note di canzoni che avevano il sapore della libertà ritrovata.

Deejay e impresari uniti nella campagna

«Il Covid e la gentrificazione hanno messo a rischio la sopravvivenza della Berlino creativa, selvaggia e sfrenata», ha spiegato al Guardian Alan Oldham, dj americano residente a Berlino e membro del collettivo Underground Resistance. «La tutela dell’Unesco consentirebbe di evitare che questo spirito si estingua. E, soprattutto, che locali storici come il Tresor e il Berghain inizino a essere percepiti un po’ come dei monumenti, dei punti di riferimento del panorama culturale della città. Negli ultimi tempi, sono stati tanti i locali che hanno chiuso i battenti. Altrove sarebbe naturale. Qui, invece, è tutta un’altra cosa. Perché posti come quelli rappresentano il cuore pulsante dell’economia». Oldham che, nel 1980, è stato uno dei primi a dare spazio alla techno attraverso il suo programma radiofonico, si è unito alla campagna messa in piedi da Rave The Planet, un comitato guidato da Matthias Roeingh, uno dei fondatori della Love Parade, celebre festival di musica dance, per chiedere al governo di fare da intermediario con l’Unesco e ottenere la tanto agognata validazione. Che, al di là del titolo, garantirebbe anche l’accesso a sussidi e finanziamenti e una protezione legale extra per club e discoteche. «Entrare in quella lista aiuterebbe il genere e tutta la cultura che porta con sé a essere visti come tasselli di una storia meritevoli di un supporto da parte della politica, e non solo come un passatempo usa e getta o, peggio, musica legata allo sballo e alle droghe. Anche Detroit, la metropoli da cui tutto è partito, ne beneficerebbe».

Musica techo, la colonna sonora della Germania unita

Dello stesso parere anche Dimitri Hegemann, proprietario del Tresor, nato da un ex grande magazzino. «Dal 1989, la techno ha trasformato la città», ha sottolineato. «Gli adolescenti dell’Est se ne sono innamorati, lo stesso è accaduto a quelli dell’ovest e questo fenomeno li ha uniti profondamente. Merito dell’assenza di parole: non c’era nulla da capire, bastava ballare. Lanciarsi e testare la novità, come è accaduto col jazz di Miles Davis a Parigi dopo la fine della seconda guerra mondiale». Da quel momento, quei ritmi sono diventati parte integrante del dna di Berlino e, nonostante l’andirivieni dei trend e lo scorrere del tempo, non sono mai spariti. «Questa musica è ancora ovunque, risuona in ogni angolo, in qualsiasi momento della giornata», ha aggiunto il produttore Peter Kirn. «In altri posti, la gente non gradirebbe mai brani così invadenti, decisamente poco delicati, pieni di sintetizzatori e drum machine. Invece qui, è assolutamente normale ascoltarli anche fuori dai locali notturni, addirittura all’ora di pranzo».

I deejay berlinesi chiedono all'Unesco di riconoscere la musica techno come patrimonio culturale
Un deejay durante una serata al Tresor (Getty Images)

Musica techno come fenomeno sociale

Tra le altre motivazioni che hanno spinto i collettivi ad attivarsi, spicca anche il ruolo sociale rivestito dalla musica in un contesto come quello berlinese. «La città si è trasformata, negli anni, in un vero e proprio rifugio per chi, nel posto in cui è nato, non si è mai sentito adatto e, arrivando qui, ha trovato un luogo dove esprimersi senza obblighi, costrizioni o regole», ha ribadito Kirn. Che, come i colleghi, confida nella buona riuscita della crociata visti i numerosi precedenti simili. In passato, infatti, l’Unesco ha garantito lo status di patrimonio culturale immateriale a generi molto meno conosciuti, come la danza Mwinoghe del Malawi o il repertorio della cornamusa slovacca che, nonostante il loro appartenere a una nicchia più o meno limitata, campeggiano con orgoglio accanto al reggae giamaicano, al Kumbh Mela Festival Indiano e al Pride di Amsterdam. Un parterre al quale, presto o tardi, potrebbero aggiungersi anche le sonorità distorte e martellanti della techno berlinese.

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