L’Italia è un paese di grandissima tradizione musicale, ma di scarsa memoria storica quando si tratta di canzone popolare. Fa forse eccezione una parte, purtroppo ridotta, di quello straordinario patrimonio culturale rappresentato dai canti della Resistenza che, anche grazie alla ricorrenza del 25 aprile, sono rimasti nella memoria collettiva e nel repertorio di diversi artisti di oggi. Il canzoniere della lotta di liberazione è molto vasto, un libro uscito negli Anni 80, Canti della Resistenza Italiana, curato da Virgilio Savona e Michele Straniero, elencava più di 200 brani, tracciando l’origine delle canzoni partigiane nei brani sociali nati dopo la Prima guerra mondiale e catalogando anche quei pezzi che negli anni post-bellici proseguirono la narrazione in musica delle gesta dei resistenti.
Il concorso canoro del 1944 sulle canzoni partigiane
Negli anni della guerra di Liberazione, le canzoni furono assai di più di un semplice intrattenimento. Nell’aprile del 1944 il Comando del secondo settore Giustizia e Libertà lanciò anche un concorso per canzoni partigiane. In un momento decisivo della guerra con le truppe alleate che stavano risalendo l’Italia e con Roma ancora occupata dai nazisti, le canzoni potevano rappresentare uno straordinario veicolo di propaganda, ma anche un potente inno all’azione e un monito a tenere duro in mesi che si annunciavano cruciali. In quegli stessi mesi le radio si stavano liberando dalla censura fascista e nacquero quelle clandestine, come la piemontese “Radio Libertà”, che utilizzavano i brani partigiani per sostenere quello che ai tempi venne definito “il quarto fronte”, quello dell’informazione.

Bella Ciao, la colonna sonora della Resistenza sconosciuta ai partigiani
La canzone partigiana di gran lunga più nota e amata è senza dubbio Bella Ciao, una composizione che attraverso varie vicissitudini – non da ultimo il suo utilizzo nella serie La Casa di Carta – è diventata anche una delle canzoni popolari italiane più famose nel mondo. La cosa apparentemente incredibile è che pochissimi partigiani la conoscevano, anzi forse non fu mai neppure cantata dai resistenti. «Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella Ciao» sentenziò Giorgio Bocca. Probabilmente è un meraviglioso falso storico. Se anche fu cantata da qualche drappello di giovani datisi alla macchia, nel primissimo dopoguerra non compare quasi mai nelle raccolte di composizioni partigiane, né nelle memorie degli ex combattenti. Si sa che la partitura è ispirata a una melodia kletzmer del musicista tzigano Mishka Ziganoff originario di Odessa che la incise nel 1919 con il titolo Koilen (si ignora se ispirato da un precedente brano). Le prime tracce certe di Bella Ciao si hanno dal 1953 quando viene pubblicata prima sul periodico La Lapa, una rivista di storia e letteratura popolare, per poi far parte della raccolta Canzoni partigiane e democratiche curata dalla commissione giovanile del Partito socialista italiano. Sarà il Festival di Spoleto del 1964 a consacrarla, mettendola in scena e presentandola, a quanto pare erroneamente, come un canto delle mondine riarrangiato. Fu il suo definitivo riconoscimento. La canzone di recente è arrivata anche in Parlamento dove un disegno di legge del 2020 ha richiesto che Bella Ciao venisse consacrata quale espressione popolare dei valori fondanti della Repubblica, riconoscendone però la probabile origine apocrifa. «Il testo della canzone», hanno affermato gli estensori della proposta, «trova maturazione e diffusione dalla metà degli Anni 50, in un momento in cui la politica ha necessità di unificare le varie anime della Resistenza». Vale la pena riascoltarla in tre versioni: quella di Goran Bregovic (in onore delle sue origine tzigane), quella di Giorgio Gaber e quella più recente del chitarrista Marc Ribot con voce di Tom Waits.
Pietà l’è morta, il brano che vinse il concorso canoro sulle canzoni partigiane
Su l’origine di Pietà l’è morta non c’è, invece, dubbio. È il brano, noto anche come Bandiera nera, che alla fine vinse il concorso canoro indetto da Giustizia e Libertà nella primavera del 1944. La musica è quella di un canto di alpini della Prima guerra mondiale Sul ponte di Bassano (diventato poi nella nuova guerra Il Ponte di Perati). Il testo della versione partigiana fu scritto da Nuto Revelli, ex alpino reduce dalla Russia datosi successivamente alla macchia nel cuneese e, alla fine della guerra, diventato scrittore. Molto bella è la versione incisa dai Modena City Ramblers con Ginevra di Marco per l’album Appunti Partigiani del 2005. Al gruppo di resistenti di Revelli si deve anche la goliardica La badoglieide, composta a quanto pare un anno esatto prima del 25 aprile 1945, una spietata satira del Maresciallo Pietro Badoglio («Ti ricordi quand’eri fascista/ e facevi il saluto romano/ ed al Duce stringevi la mano?») cantata sull’aria di una canzoncina licenziosa delle mondine vercellesi E non vedi che sono toscano. Negli Anni 60 ritornò in voga anche grazie a una versione del gruppo cabarettistico milanese I Gufi. Non è dubbia neppure l’origine de Siamo i ribelli della montagna, composta nel marzo del 1944 dai combattenti della Divisione Garibaldi “Cichero” che si nascondeva sulle alture liguri. La scrissero durante un turno di guardia il comandante Emilio “Cini” Casalini con Angelo “Lanfranco” Rossi. Ne esiste una versione indie-rock incisa dal gruppo emiliano Üstmamò nel 1996. Più tradizionale è quella firmata dai Modena City Ramblers con la Bandabardò.
Fischia il vento, tra i più antichi canti partigiani
Fischia il vento è forse uno dei primi canti partigiani. La composizione infatti risale a prima del settembre del 1943 firmata dal ligure Felice Cascione, che diverrà noto con il nome di battaglia “U Megu”, il medico, e verrà fucilato dai fascisti pochi mesi dopo. La musica è tratta dalla celebre canzone popolare sovietica Katjuša ed è citata anche nel Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio. La Banda Bassotti l’ha reinventata in veste ska-punk ed esiste anche una versione firmata dagli Skiantos. Ma l’interpretazione più bella è senza dubbio quella incisa da Milva. Là su quei monti diventò uno dei canti ufficiali delle brigate Giustizia e Libertà in tutto il nord Italia. Le parole furono scritte da Faustino Dalmazzo (i suoi nomi di battaglia erano “Angelo” e “Luca”), sottotenente degli alpini che decise di passare alla Resistenza e divenne comandante delle brigate che operavano nel cuneese. Anche qui la melodia deriva da un canto degli alpini della Grande Guerra, Là sul Cervino, noto anche come Vinassa Vinassa.
I brani passati dall’Eiar durante la Seconda guerra mondiale
Vale la pena di ricordare che nell’estate del 1943, la musica che passava sulla radio Eiar (l’antesignana della Rai) era molto diversa. Uno dei successi più conosciuti era Camerata Richard una canzone, di un vago sentore malinconico, che celebrava il cameratismo tra soldati italiani e tedeschi votati alla morte. L’autore principale del pezzo, che divenne popolare nell’interpretazione del tenore Francesco Albanese, fu il compositore Mario Ruccione che musicò diversi inni di propaganda fascista e che vincerà anche un Sanremo negli Anni 50, scrivendo una canzone per Claudio Villa. La censura di regime però non controllava solo i testi, una prima incisione di Camerata Richard fu vagliata da Mussolini e da Alessandro Pavolini, che suggerirono di registrarla nuovamente per evitare qualche acuto di troppo. Il sodalizio tra le truppe dell’Asse veniva celebrato con queste parole: «Sulla strada della gloria, coglieremo la vittoria per la nostra libertà». Così, le canzoni della Resistenza avevano anche il compito di raccontare da che parte stava la vera libertà.