La Barriera è crollata

Fabrizio Grasso
22/06/2021

Per l'Unesco i cambiamenti climatici e il surriscaldamento delle acque avrebbero portato a preoccupanti fenomeni di sbiancamento nel sito e imporrebbero interventi urgenti. Ma l'Australia protesta: «È un atto politico».

La Barriera è crollata

Gli effetti del cambiamento climatico non risparmiano la Grande Barriera Corallina. È l’allarme lanciato da un rapporto dell’Unesco, che sottolinea come il celebre sito naturale australiano, patrimonio dell’umanità dal 1981, dovrebbe essere inserito nell’elenco speciale delle zone a rischio. Occorre «un’azione accelerata a tutti i livelli», affermano i funzionari dell’ente internazionale, che prospettano un intervento già il prossimo mese.

Le conseguenze del rapporto Unesco sulla Barriera corallina

Come riporta il Guardian, la raccomandazione ha scatenato la reazione del governo australiano che, attraverso le parole della ministra degli Esteri Marise Payne e della collega all’Ambiente Sussan Ley, ha contattato la direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay. «È un ribaltone inaspettato», ha dichiarato Ley, riferendosi a dichiarazioni dell’organizzazione internazionale risalenti alla scorsa settimana in cui si negava ogni possibile intervento nell’anno in corso.

«Sappiamo che il cambiamento climatico è la più grande minaccia per le barriere coralline del mondo», ha continuato la ministra. «Tuttavia, 83 siti naturali del patrimonio dell’umanità subiscono tali minacce. Non è giusto puntare il dito solo sull’Australia».

Per la prima volta un sito Unesco a rischio per i cambiamenti climatici

È la prima volta che un sito Unesco viene inserito nella lista di quelli a rischio a causa delle conseguenze della crisi climatica. Lo spostamento di categoria, infatti, avviene solitamente a seguito di conflitti armati, inquinamento, bracconaggio e urbanizzazione incontrollata. In Australia però, dall’ultima analisi risalente al 2015, è emerso che il riscaldamento globale ha aumentato le temperature oceaniche e questo si è tradotto in tre nuovi eventi di sbiancamento di massa lungo i 2300 km della Barriera corallina. Da qui l’allerta.

«Sono necessari impegni più forti e chiari», si legge nel rapporto stilato dall’organizzazione. «Urgono un contrasto ai cambiamenti climatici e un’accelerazione per migliorare la qualità dell’acqua e la gestione del territorio». L’Unesco ha raccomandato, inoltre, di avviare una missione di monitoraggio per sviluppare misure correttive, chiedendo al Queensland e ai governi federali di presentare un rapporto entro febbraio 2022, che delinei un piano per proteggere la barriera.

Tuttavia l’Australia rimane riluttante a impegnarsi in un’azione mirata sul clima. Come sottolinea la Bbc, si tratta di uno dei pochi membri dell’Ocse che ancora resiste alle pressioni per sottoscrivere un obiettivo di zero emissioni entro il 2050. Il Paese, grande esportatore di carbone e gas, non aggiorna i suoi obiettivi climatici dal 2015 e il suo attuale intento è ridurre le emissioni entro il 2030 del 26-28% rispetto ai livelli del 2005. «La raccomandazione dell’Unesco è chiara e inequivocabile», ha affermato Richard Leck, responsabile degli oceani per il World Wide Fund for Nature – Australia. «Il governo australiano non sta facendo abbastanza per proteggere il nostro più grande bene naturale».

Per l’Australia si tratta di un atto politico

«Si tratta di una questione puramente politica», ha attaccato la ministra dell’Ambiente. In Australia, infatti, sarebbero in molti a sospettare che dietro la decisione ci sia lo zampino della Cina che presiede il Comitato del Patrimonio Mondiale e il prossimo 16 luglio ospiterà una riunione a Fuzhou per discutere, tra le altre, della questione. «Quando non si seguono le corrette procedure e si capovolge il processo, non può essere altro che un atto politico. Ho messo in chiaro che contesteremo questo approccio imperfetto, adottato senza un’adeguata consultazione».

È la seconda volta che la barriera corallina è minacciata di essere inserita nell’elenco dei siti in pericolo. L’ultima volta, risalente al 2015, il governo aveva vinto la battaglia, ma stavolta potrebbe essere diverso.