Banksy e la street art: patrimonio da proteggere o fuffa?

La street art è ancora un patrimonio da salvare o è stata definitivamente inquinata dal mercato? Una riflessione a partire dal pamphlet (livoroso) di Vincenzo Profeta.

Banksy e la street art: patrimonio da proteggere o fuffa?

È stato appena pubblicato da GOG un provocatorio pamphlet intitolato BR AMMAZZATE BANKSY, scritto da Vincenzo Profeta, all’interno del quale viene fatto letteralmente a pezzi, attraverso l’attacco alla figura di Banksy, il sistema della street art. «La street art è il prodotto più infimo, perfido, manipolabile e definito della non-arte», scrive Profeta e poi aggiunge, «il populismo di questo sistema è sconcertante».

la street art è una forma d'arte o fuffa?
Br Ammazzate Banksy di Vincenzo Profeta.

Dalla politica al mercato: l’evoluzione della street art

Se è vero che un tempo la street art diventava politica e disprezzava il mercato è altrettanto vero che oggi i milionari si comprano i graffiti, di fatto normalizzando un tipo di arte nata in strada e concepita come un movimento di rottura che aveva le sue radici nella cultura hip-hop e nel graffitismo illegale. L’abbraccio fatale delle sirene del mercato, secondo Profeta, ha ridotto la street art alla stregua di una mera campagna pubblicitaria che poco ha da dire. E l’ha spogliata totalmente della propria matrice punk-new wave. Sembrano così lontani i tempi in cui il critico d’arte Vittorio Sgarbi definiva i graffiti davanti ai muri del centro sociale Leoncavallo di Milano «paragonabili alla Cappella Sistina» e allestiva al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano una delle più grandi mostre dedicate al movimento mai realizzate in Italia. Street Art Sweet Art avevano deciso di chiamarla gli organizzatori tra cui figuravano Davide Atomo Tinelli, uno dei pionieri del writing in Italia, e il curatore Alessandro Riva. Era il 2007 e fino a quel momento sia il mondo del writing che quello della neonata street art erano sempre stati considerati paralleli all’arte ufficiale. Nessun critico se n’era mai occupato, non c’erano curatori né spazi espositivi preposti. Già allora ci si interrogava sull’opportunità di concedere a una realtà che, per definizione, era nata e si era sviluppata nell’illegalità, la possibilità di arrivare su un palcoscenico così prestigioso. Senza rischiare di snaturarla completamente.

Banksy e la street art sono un patrimonio da proteggere o da rottamare?
La mostra The Art of Banksy: Without Limitsa Miami (Getty Images).

La storia del graffitismo europeo in Banksy, l’arte della ribellione

Probabilmente Profeta avrebbe pisciato sui muri del Pac, sui graffiti di Blu, sui pinguini di Pao, sulle opere di Ozmo e di Bros, come nel libro racconta di aver fatto a Pisa tempo fa sul murales Tuttomondo di Keith Haring. Ma la domanda che ci poniamo oggi è un’altra: è possibile archiviare i graffiti come opere d’arte e quindi conservarli facendoli diventare storia, elevando così gli autori di queste opere dallo status di vandali a quello di artisti? Per capirlo consigliamo la visione di un documentario reperibile su Amazon prime e dedicato a Banksy, ancora lui, probabilmente lo street artist più famoso al mondo, intitolato Banksy, l’arte della ribellione, all’interno del quale viene narrata la storia del graffitismo europeo partendo dalla scena di Bristol che mutuando il linguaggio nato a New York, nel Lower East Side di Manhattan e nel South Bronx, ha permesso a una nuova generazione di artisti di esprimersi in maniera nuova e rivoluzionaria. Profeta non sarebbe sicuramente d’accordo, considerando il livore con cui ha approcciato la questione nel sopracitato pamphlet, facendo della proverbiale “erba un fascio” sollevando però perplessità sul sistema condivisibili.