Dai Rolling Stones ai Pink Floyd, le band che hanno cambiato musicisti
I Beatles sono l'eccezione a una regola che ha visto tante grandi band cambiare i loro interpreti nel tempo. Indipendentemente dai motivi, dai Rolling Stones ai Pink Floyd: ecco quando l'esperimento è riuscito e i casi in cui forse sarebbe stato meglio evitare.
John, Paul, George e Ringo. Bastano i loro nomi per capire che si sta parlando dei Beatles. Dall’inizio alla fine della loro carriera i Fab Four non hanno mai cambiato formazione, costituendo anche in questo un’eccezione. La regola, invece, prevede che i membri fondatori delle band se ne vadano, magari sbattendo la porta. Oppure debbano alzare bandiera bianca, vinti da cause di forza maggiore. Il risultato è che molti gruppi vanno avanti, spesso per decenni, con formazioni radicalmente diverse rispetto a quella originaria. Non a caso Bruce Springsteen, nel discorso con cui ha celebrato l’ingresso degli U2 nella Rock’n’Roll Hall of Fame, li ha definiti «l’ultima band di cui sarò in grado di ricordare i nomi di tutti i componenti».
Rolling Stones, nonostante i cambi di formazione la leggenda resta intatta
E le mutazioni, naturalmente, si trascinano dietro uno scotto da pagare in termini di credibilità. Qualcuno riesce a mantenerla intatta, altri decisamente meno. Alla prima categoria appartengono ovviamente i Rolling Stones. Della squadra originale, infatti, restano solo Mick Jagger e Keith Richards. Charlie Watts, scomparso pochi mesi fa, era già stato sostituito negli ultimi live a causa dei problemi di salute, Bill Wyman aveva lasciato il gruppo quasi trent’anni fa e Brian Jones era già morto nel 1969. Eppure nessuno si sognerebbe di dire che non fossero i Rolling Stones quelli visti sul palco nel 2021. Il carisma di Jagger e Richards, le loro canzoni e il fatto che, nella storia del gruppo, Ronnie Wood sia il chitarrista con maggiore anzianità di servizio (dopo Keith Richards, naturalmente) aiutano a preservarne l’aura di leggenda, che in altre situazioni è stata legittimamente messa in dubbio.

Tra addii e ritorni, la tribolata storia dei Guns N’Roses
È il caso dei Guns N’Roses, che dopo un inizio di carriera a dir poco folgorante hanno perso via via tutti i membri fondatori tranne il cantante Axl Rose. Quest’ultimo ha fatto attendere ai fan un nuovo album per quasi quindici anni, poi ha firmato Chinese Democracy (2008) con il nome del gruppo. Operazione perfettamente legale, dal momento che aveva il diritto di usare la storica ragione sociale, ma discutibile dal punto di vista artistico. Successivamente, nel 2017, in un tour che ha toccato anche l’Italia, Slash e Duff McKagan sono tornati a suonare dal vivo insieme a lui, ricomponendo il gruppo e smentendo quanto precedentemente affermato da Rose. «Non succederà in questa vita» aveva sentenziato il cantante. Da qui, il nome della tournée, Not In This Lifetime.
I Pink Floyd e la richiesta di Roger Waters di non usare il nome del gruppo
Il diritto o meno di usare il nome di una band anche senza parte dei suoi componenti originali è materia per avvocati, ma il caso dei Guns N’Roses certifica comunque una tendenza diffusa. Quando Roger Waters lasciò i Pink Floyd all’inizio degli anni Ottanta, tentò invano di opporsi all’uso del nome del gruppo da parte dei suoi ex compagni. Che di tutta risposta continuarono a fare dischi e tour, mentre il ruolo di leader fu assunto da David Gilmour. A sua volta, neppure uno dei membri originali, dato che vi era entrato molti anni prima per sostituire l’amico Syd Barrett. E a proposito dei Pink Floyd, a partire dal 2018 il batterista Nick Mason ha messo in piedi uno dei tanti progetti che rendono omaggio a una band senza tuttavia utilizzarne il nome. Si chiama Nick Mason’s Saucerful of Secrets, e dovrebbe far capire ai fan che si eseguono dal vivo i brani del primo periodo dei Pink Floyd. Si tratta infatti del titolo del secondo album del gruppo, uscito nel 1968.

Del progetto di Mason fa parte anche Gary Kemp, chitarrista e fondatore degli Spandau Ballet. All’inizio degli anni Novanta lui e il fratello Martin entrarono decisamente in rotta di collisione con gli altri tre fondatori del gruppo, che iniziarono a esibirsi in autonomia, portando, però, sul palco i grandi successi della band. Tony Hadley, Steve Norman and John Keeble performing the songs of Spandau Ballet, si leggeva nei manifesti appesi fuori dai locali. Un modo abbastanza furbo (e legale) per dire che erano gli Spandau Ballet senza affermarlo esplicitamente. Seguirono una riappacificazione e concerti un po’ ovunque, Italia compresa. Quindi Tony Hadley lasciò nuovamente il gruppo, sostituito da Ross William Wild, cantante con quasi trent’anni in meno.
Quando i Queen provarono a sostituire Freddie Mercury
Ma sostituire un membro del gruppo, soprattutto se molto rappresentativo, rimane attività complicata e rischiosa. Ci provarono addirittura i Queen. Un coraggio ammirevole, ma nonostante gli sforzi del volonteroso Adam Lambert, scovato tra i concorrenti del talent show American Idol, l’assenza di Freddie Mercury restava enorme. I Genesis per ovviare all’abbandono di Peter Gabriel, si sono trasformati in una band diversa, anche nel genere musicale. Trovare in un batterista come Phil Collins l’uomo della provvidenza, in grado di trasformarsi in cantante, non era, comunque, scontato. Quando anche quest’ultimo ha lasciato la compagnia, Tony Banks e Mike Rutherford ripararono sul giovane Ray Wilson. Caso archiviato con il rientro di Phil Collins.

Quali sono state le band che hanno cambiato più interpreti
A tirare le somme, nei giorni scorsi, ci ha provato il quotidiano El País. Il giornale spagnolo ha così scoperto che nei Guns N’Roses sono transitati ben 33 musicisti diversi, 36 nei Jethro Tull e nei Lynyrd Skynyrd, 37 nei Whitesnake. Addirittura 85 nei Waterboys. Ragguardevole anche la cifra di 66 membri raggiunta dai Fall, leggende del post punk britannico. Del resto Mark E Smith, il dispotico cantante scomparso quattro anni orsono, era stato chiaro: «Se ci siamo io e tua nonna ai bonghi, beh, quelli sono i Fall».