Perché il balletto è diventato un’arma nelle mani di Mosca
Con l'aggressione dell'Ucraina, la danza classica russa è ritornata sotto i riflettori, tra spettacoli cancellati e ballerini dissidenti. Confermando come danzatori ed étoile siano ancora per Mosca importanti strumenti di soft power.
Quando, agli inizi di marzo, il Cremlino ha costretto il network televisivo indipendente Dozhd a sospendere le trasmissioni, l’emittente ha salutato il pubblico mandando in onda un filmato de Il Lago dei Cigni. Lo stesso che tutte le televisioni sovietiche trasmisero nel 1991, in occasione del Putsch di agosto, il tentato colpo di stato organizzato per deporre il presidente Gorbačëv. «Allora le televisioni mandarono in onda il balletto per nascondere ai cittadini cosa stava accadendo», ha spiegato al Guardian lo storico Simon Morrison, «Dozhd ha utilizzato quella strategia per farsi beffe della censura di massa attuata da Vladimir Putin. ‘Non volete che i cittadini sappiano cosa sta succedendo in Ucraina? Eccovi qui Il Lago dei Cigni’».
La danza classica per la Russia non è solo un orgoglio nazionale. Forte di legami solidi con il Cremlino, infatti, è diventata una vera e propria arma segreta nelle mani della diplomazia che la usa come strumento di soft power. Non a caso, per colpire Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina Paesi come il Regno Unito hanno deciso di cancellare le tournée del Balletto di Siberia e del Bolshoi.
I legami del balletto russo con la politica e la diplomazia
In Russia, il balletto è quasi una religione. Pur essendo nato in Italia e in Francia, è stato con l’Imperial Russian Ballet di San Pietroburgo che, a fine 1800, ha raggiunto il suo culmine grazie a pilastri del repertorio come lo Schiaccianoci e la Bella addormentata, creati da coreografi del calibro di Marius Petipa e Lev Ivanov. Sin da allora, le compagnie hanno instaurato una relazione particolarmente stretta con la politica perché, in qualche modo, ne riflettevano l’ideologia. «I ranghi della compagnia riproducevano la gerarchia del potere», ha sottolineato Morrison. «Petipa, ad esempio, ha portato sul palco un modello di comportamento profondamente repressivo».

E, nell’era sovietica, capolavori come Spartacus e Ivan il Terribile si sono trasformati in veri e propri manifesti di propaganda, ribadendo la forza e i valori del Paese. Con l’inizio dei tour internazionali che, tra le tante tappe, portarono il Bolshoi a Londra per la prima volta nel 1956 e l’American Ballet nell’Urss nel 1960, la danza classica ha contribuito a suo modo e con vario esito a distendere i rapporti tra gli Stati, favorendo lo scambio culturale. «Soprattutto nel caso dell’Unione Sovietica, vista come un impero distante e una minaccia su tutti i fronti. Vedere i danzatori sul palco ha aiutato tanto a umanizzarla, ammorbidendo i giudizi esterni», ha precisato lo storico.

Da Nureyev a Baryshnikov, l’esercito dei disertori
Esistevano però eccezioni alla regola. Come nel caso di étoile che hanno consapevolmente deciso di abbandonare tutto e fuggire in Occidente alla ricerca di libertà. Una scelta che, tra 1960 e 1970, ha accomunato Rudolf Nureyev, Natalia Makarova e Mikhail Baryshnikov, trasferitisi a Londra e a Toronto. Oggi, almeno prima della guerra in Ucraina, le compagnie si esibivano in giro per il mondo. E, a detta dell’ex primo ministro Dmitry Medvedev, aiutano a «raggiungere discretamente una serie di obiettivi precisi senza bisogno di troppe parole».

La posizione dei danzatori russi sulla guerra in Ucraina
Con l’attacco russo all’Ucraina, i danzatori si sono ritrovati nuovamente trascinati nella politica dopo anni di basso profilo. Alcuni hanno deciso di prendere posizioni in netto contrasto con Mosca, dissociandosi da Putin emigrando e invitando i colleghi a non tacere il proprio dissenso. Tra questi, l’inglese Xander Parish, primo ballerino al Mariinsky dal 2010che ha lasciato San Pietroburgo e la stella del Bolshoi Olga Smirnova che, ultimato il trasferimento al Dutch National Ballet, ha sfogato su Telegram tutta la sua indignazione: «Sono contro la guerra con ogni fibra della mia anima. Non possiamo né dobbiamo rimanere indifferenti davanti a questa catastrofe globale».

Ovviamente, c’è stato anche chi non se l’è sentita di alzare la voce o di schierarsi per paura. In tanti hanno anche giudicato inutile la cancellazione degli spettacoli perché molto più dannosa e scomoda per gli artisti che per il regime. «Effettivamente, è un’arma pericolosa. Per chi lavora nel settore, è vista come un trattamento umiliante», ha concluso Morrison, «per il governo, invece, questa campagna contro la Russia è il capro espiatorio perfetto per farsi passare come vittime di un accanimento. E gioca a loro favore».