È uno dei frutti più in voga del momento. Il futuro dell’avocado, tuttavia, è quanto mai a rischio. Stessa sorte per la patata e la vaniglia, almeno nelle loro declinazioni selvatiche. Le otto varietà di quest’ultima presenti in America centrale sono state tutte inserite nella lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura, Iucn. La loro eventuale scomparsa, insomma, è ipotesi tutt’altro che remota. Stessa sorte per il cotone, finito al secondo posto di una classifica non certo idilliaca, con il 92 per cento di specie selvatiche a rischio. In graduatoria, come accennato, compare anche la patata (23 per cento). Quasi inutile specificare come nelle loro varietà domestiche, i vegetali tipici di Honduras, El Salvador, Guatemala e Messico, siano diffusissimi e rivestano un ruolo di primo piano non solo nell’alimentazione, ma anche nella fabbricazione di vestiti. Merito di Atzechi e Maya, capaci per primi di comprenderne e sfruttarne le proprietà.
Lo studio pubblicato su Plants, People, Planet si traduce in una lista infinita e include anche banana, mela, prugna, zenzero, zucca, fagioli, peperoncini e pomodori. Tutti minacciati a causa dell’uso di pesticidi e dell’agricoltura intensiva. E le previsioni su questo fronte non sono rosee. Si ritiene che i raccolti, a causa del cambiamento climatico, diminuiranno in maniera proporzionale alla crescita della popolazione mondiale, che tra non molto toccherà i dieci miliardi di abitanti.
Dall’avocado alla patata, il ruolo fondamentale delle specie selvatiche
La dottoressa Bárbara Goettsch, autrice principale della ricerca, ha spiegato come le specie selvatiche fungano da supporto a quelle destinate a diventare cibo e senza le prime anche queste ultime potrebbero scomparire. Solo uno studio accurato delle piante selvatiche, infatti, consente di trovare le soluzioni migliori per le domestiche. Questione di caratteristiche: si va dalle zucche resistenti al freddo, alle patate più adatte ad ambienti secchi. «Il rischio, per il momento riguarda solo le specie selvatiche, incapaci di adattarsi all’aumento della salinità del suolo. In più con il caldo sempre maggiore ci dovremo presto confrontare con parassiti e malattie sconosciuti, rispetto alle quali le reazioni restano un’incognita». Qualora fossero negative si andrebbe a perdere anche la biodiversità contenuta oggi nelle banche genetiche. Da qui, la necessità di una protezione maggiore, come sottolinea il professore José Sarukhán, coordinatore della Commissione nazionale per la conoscenza e l’uso della biodiversità (Conabio) «L’America centrale è un luogo fondamentale per lo sviluppo delle piante che poi vengono esportate nel resto del mondo. Senza perdere di vista il fatto che le popolazioni locali usano ancora le varietà selvatiche come rimedi medicinali o alimenti».