Due caselli e due misure

Massimo Pittarello
25/10/2021

In Italia le concessioni autostradali ricevono trattamenti diversi: qualcuna viaggia in corsia preferenziale, qualcun’altra deve stare in fila incolonnata. Come nel caso della Strada dei Parchi.

Due caselli e due misure

Tutte le strade porteranno anche a Roma, ma seguono percorsi molto differenti, a volte tortuosi e difficilmente spiegabili. È evidente, infatti, che in Italia le concessioni autostradali ricevono trattamenti diversi: qualcuna viaggia in corsia preferenziale, qualcun’altra deve stare in fila incolonnata; quasi tutte vengono assegnate in affido diretto, ma per un paio c’è la gara d’appalto; per alcune vengono prorogati e allungati i termini di scadenza e, invece, per altre si vorrebbe accorciarli prima del tempo. Un trend, questo dei due pesi e due misure, che è diventato assai più evidente dopo il crollo del Ponte Morandi. Ci sono casi eclatanti che lo dimostrano.

Concessioni al posto del monopolio pubblico

Ma andiamo con ordine. Il governo Draghi, tramite il ministro Giovannini, ha fatto sapere che il 2021 sarà un «anno cruciale» per il sistema autostradale, per «dare un nuovo assetto al sistema delle concessioni». L’obiettivo è mettere in sicurezza la rete. E fin qui sono tutti d’accordo. Ma è sul “come” farlo che casca l’asino. L’idea che va per la maggiore, come dimostrato con il passaggio di Aspi sotto l’ombrello di Cdp, è far tornare tutto in mano pubblica. Una linea tracciata dal governo gialloverde, confermata da quello giallorosso e non smentita in era Draghi. Eppure, l’esperienza ha dimostrato non solo che il controllo statale può creare favoritismi, ma spesso non migliora, e anzi di solito peggiora la gestione della rete. Per questo, seguendo numerose raccomandazioni dell’Unione europea, il monopolio pubblico è stato sostanzialmente sostituito dal sistema delle concessioni.

I richiami di Bruxelles e le infrazioni dell’Italia 

Tuttavia, proprio Bruxelles ha richiamato più volte il nostro Paese su come vengono gestite, e di solito allungate le concessioni, in barba alle regole della concorrenza. Per esempio, è stata aperta una procedura di infrazione sulla A12 Roma-Civitavecchia, concessione scaduta nell’ormai remoto 1999. Dopo un decennio di tira e molla, proprio per i continui rinnovi senza gara, alla fine la Commissione ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia. Ed è arrivata la condanna. Adesso, a fine settembre, l’Unione europea ci ha messo in mora per il “non rispetto delle norme sulle concessionarie autostradali”. Abbiamo due mesi per rispondere, e uno ce lo siano già bruciato. Vedremo, ma sarà difficile smentire l’accusa che in Italia non viene quasi mai applicata la regola generale, ma sempre qualche norma ad hoc.

Il caso dell’A22 del Brennero

Come succede, per esempio, per la A22 del Brennero, ormai in regime di prorogatio dal 2014. Un tratto che, visto il corposo traffico, genera centinaia di milioni di ricavi l’anno e garantisce 80 milioni di dividendi alle Province Autonome di Trento e Bolzano, azioniste della concessionaria (con il 7,9 e il 7,6 per cento), insieme alla Regione (che detiene il 32,28 per cento) e a molti altri enti locali del territorio. E proprio in queste ore potrebbe scattare un’ulteriore “concessione”. Durante l’esame parlamentare di conversione in legge del Dl infrastrutture potrebbe essere infatti approvato un emendamento che consentirebbe di non fare la gara d’appalto che l’Europa ci chiede da tempo. Per evitarla, oltre alla costituzione di una società in house totalmente pubblica, ecco la modifica normativa presentata dal Pd, che prevede l’istituzione di un partenariato pubblico-privato. Della serie, la fantasia al potere. Per farla breve, la soluzione è lasciare le quote di possesso così come sono ora, cristallizzate e senza nemmeno dover estromettere i privati (che hanno il 14,15 per cento), ma contemporaneamente allungando la concessione in affido diretto per molti altri anni (oltre ai 7 già passati finora). Ci sarebbero degli investimenti da fare per legge e versare allo Stato i denari (anche se a rate) del cosiddetto “fondo ferrovia” dove, sempre per legge, sono stati accantonati negli anni circa 850 milioni per realizzare il Brennero ferroviario, ma comunque per gli interessati il gioco vale la candela. D’altra parte, si tratta di amministratori locali che traggono vantaggio per le casse delle loro istituzioni dai dividendi di quella ricca tratta autostradale e che hanno un peso determinante sulle scelte politiche del Parlamento e nelle interlocuzioni con il governo.

Concessioni autostradali: i due pesi e due misure
La Strada dei Parchi.

Il Pef per la A24 e A25 non ha mai visto la luce

Ma non è così per tutti, perché ci sono altri concessionari che non ricevono lo stesso trattamento. Chi? La A24 e A25, per esempio, che nel 2000 era stata assegnata al gruppo Toto attraverso un bando di gara europeo. Si tratta di autostrada di montagna poco trafficata, con altissimi costi di manutenzione e gestione, cresciuti dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 (da quel momento ci sono state migliaia di scosse telluriche nelle zone attraversate dall’autostrada). Ciononostante, mentre l’incremento dei pedaggi è stato più volte calmierato o bloccato, il piano (Pef) per la totale messa in sicurezza antisismica – reso obbligatorio da una legge post terremoto del 2012 – non ha mai visto la luce. E questo nonostante che da allora si siano succeduti cinque governi e sei ministri, e tuttora ci siano ben tre commissari straordinari (tra cui uno nominato dal Consiglio di Stato che ha commissariato il Ministero, per manifesta inadempienza). Ora la concessionaria Strada dei Parchi in base al contratto ha annunciato per il 2022 un forte aumento delle tariffe (si recuperano anche gli aumenti bloccati in passato), e per questo protestano i sindaci delle aree attraversate dalle due arterie, e diversi parlamentari (la più agguerrita è la piddina Stefania Pezzopane) hanno preparato emendamenti al dl infrastrutture da oggi in votazione alla Camera.

L’ipotesi di ri-affidare la concessione all’Anas

Ma perché Palazzo Chigi – e segnatamente i consiglieri di Draghi, certamente brillanti economisti ma ignari dei problemi dei trasporti – non autorizza il varo del nuovo Pef già condiviso dai commissari e atteso da quasi un decennio? L’idea che circola è che si voglia sfilare la concessione prima della scadenza (2030) per affidarla, ancora una volta e senza procedura concorrenziale, all’Anas, alla quale era stata sottratta 20 anni fa esatti dopo un paio di default. Tesi suffragata da una bozza di emendamento governativo, che circola alla Camera in queste ore, la quale prevede di costituire l’ennesima società Anas a cui  far gestire autostrade nuovamente “statalizzate”. Come se l’Anas, appunto, fosse la panacea di tutti i mali o abbia dato prova di brillanti gestioni di quanto le compete. Ma richiamare la concessione non è stato fatto neanche per Aspi dopo i morti di Genova, nonostante i 5 stelle e l’avvocato Conte lo avessero lungamente minacciato. Nel caso della A24 e A25 come si giustificherebbe? E come si giustificherebbe l’uso di due pesi e due misure se davvero per il Brennero si facesse quel che sembra siano intenzionati a fare, tra l’altro con il concretissimo rischio di subire una procedura di infrazione da parte dell’Europa? Di solito queste disparità di trattamento hanno spiegazione politiche. Ma questa volta al governo c’è un signore che si chiama Mario Draghi.