Stefano Grazioli è nato a Sondrio nel 1969. Dopo la maturità classica al Liceo Piazzi ha studiato a Berlino e Milano, laureandosi in Scienze Politiche all'Università Cattolica. Dal 1993 ha lavorato in Germania per media italiani e tedeschi, prima di trasferirsi in Austria, dove nel 1999 ha conseguito il Master in European Journalism alla Donau Universität. Da oltre vent'anni si occupa di spazio postsovietico come autore freelance per testate italiane e straniere. Ha lavorato a Colonia, Vienna e Kiev. È autore di diversi saggi. Ora vive tra Bonn, Mosca e Sondrio.
Il blocco del gas russo causerebbe un crollo di oltre il 10 per cento del Pil tedesco. Per questo Berlino non intende tagliare definitivamente i ponti con Mosca. Anche per evitare di stravolgere gli equilibri europei e transatlantici.
La promessa di entrare nell'Ue fatta a Zelensky dai leader europei ha il valore di una pacca sulla spalla. Per anni, prima dell'invasione russa, Kyiv ha congelato le riforme necessarie per l'adesione. Dalla quale fu a un passo solo nel 2013. Ora potrebbe essere troppo tardi.
La presenza del presidente Iohannis a Kyiv insieme con Draghi, Macron e Scholz non era casuale. Bucarest rappresenta la nuova Europa, più dura nei confronti di Mosca e più vicina a Washington. Di cui ora più che mai è alleata strategica.
Al quarto mese di guerra, l'Occidente è ancora confuso e diviso. Londra vuole attaccare Putin, l'Europa temporeggia offrendo a Zelensky l'ingresso nell'Ue. Mentre Washington dovrà cercare una via d'uscita. Nessuno però sembra capire che il fattore tempo non preoccupa il Cremlino.
Finora il taglio dell'import energetico dalla Russia non ha colpito Putin che continua a guadagnare grazie all'aumento dei prezzi e all'Oriente. L'Europa come al solito va in ordine sparso. E già si corre per le scorte invernali. Il punto.
Dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina, almeno 300 mila russi, soprattutto giovani, hanno lasciato il Paese. Tra le cause i timori per la repressione di Mosca contro ogni dissidenza e la mancanza di prospettive lavorative.
La guerra non ha solo spinto magnati ucraini come Victor Pinchuck e Rinat Akhmetov, patron di Azovstal, a schierarsi apertamente contro Putin. Ma ha portato anche a una tregua interna tra Zelensky e i nemici Poroshenko e Kolomoisky. Almeno per ora.
Ha attaccato Merkel per i rapporti con la Russia e Scholz per la prudenza nell'inviare armi. E mentre rimproverava alla Germania di aver dimenticato il suo passato, calava un velo sul fascismo e l'antisemitismo ucraini esaltando Bandera e l'Azov. Un attivismo, quello di Melnyk, che alla lunga potrebbe rivelarsi controproducente per Kyiv.
«Un rebus avvolto in un mistero dentro un enigma». Così Churchill definiva la Russia nel 1939. Da allora non è cambiato molto, anzi. La narrazione occidentale non riesce a cogliere le reali intenzioni del Cremlino. E se le premesse sono errate, lo saranno anche le soluzioni. L'Ucraina purtroppo non fa eccezione.
La vittoria nel Saarland e il flop nello Schleswig-Holstein della Spd non fanno testo. La vera sfida si gioca in Nordreno-Vestfalia, primo banco di prova per il Cancelliere Scholz. Che per riconquistare la regione più popolosa della Germania punta sull'astro nascente del partito Thomas Kutschaty.
Solo dopo la presa di Mariupol e della direttrice verso Odessa passando per Berdyansk, Melitopol e Kherson la prima fase della guerra potrà dirsi conclusa. Nelle aree conquistate però difficilmente si terranno referendum a breve. Troppo alto il rischio di insurrezioni. E Putin lo sa bene.