I video 'divulgativi' di Marco Malvaldi promossi dall'Arena di Verona sul Corriere rischiano di essere un boomerang. Sciatteria, banalità e svarioni fanno trasalire gli appassionati e irritare gli addetti ai lavori.
Il 13 febbraio 1883 moriva Richard Wagner, primo artista globale e compositore immortale. Ma anche campione di antisemitismo tanto da ispirare gli ideali del nazismo. Un tema che è stato a lungo trascurato, e solo negli ultimi tempi finalmente messo a fuoco.
Il teatro civile della Dante, con il suo sguardo sulla realtà insieme poetico e crudo, suggestivo e cronistico, incrocia il grand-opéra storico-politico di Verdi, Les Vêpres Siciliennes. Sfida vinta per Palermo.
Da quando il concerto veneziano ha sostituito quello di Vienna si è materializzato il distacco tra senso della musica e brillantezza, con quest'ultima a prevalere. I brani eseguiti spesso rievocano episodi tristi, nonostante il momento pretendesse allegria.
Il Macbeth di Livermore gioca sulla tecnologia, richiamando il cinema (Nolan) e l'arte moderna. Un sovraccarico visivo e pop a volte fine a se stesso ma sorretto da grandi interpretazioni, da Salsi a Netrebko che però risulta più grottesca che cattiva. La recensione.
Una vocalità lontana dalle consuetudini dell’epoca, quasi un canto parlato. E una recitazione integrale che soverchia le prerogative musicali. Un'opera totale curata da Verdi in ogni dettaglio, costumi compresi. Analisi della versione del 1865 che aprirà la stagione della Scala.
Macbeth, che il 7 dicembre inaugura la stagione della Scala, è l'opera più sperimentale di Verdi. E nacque durante una prolungata degenza del maestro a Recoaro per curare una "febbre gastrica". La storia.
È il filo rosso che unisce le inaugurazioni operistiche italiane. Il Fidelio di Beethoven della Fenice - che delude - e il graffiante Julius Caesar di Battistelli che ha aperto l'Opera di Roma. Ora si aspetta il Macbeth della Scala.
Giancarlo Marinelli in 11 ricostruisce con occhio cinematografico le 30 ore che precedono l'attentato alle Torri Gemelle. Componendo una singolare polifonia narrativa in cui tante voci soliste s’intrecciano. La recensione.
Regista di culto, amatissimo all'estero, a Salisburgo ha messo in scena un Don Giovanni infarcito di simbolismi e autocitazioni che hanno finito per sancire l'incomunicabilità tra la messa in scena e la drammaturgia mozartiana.
Una voce unica. Cachet strabilianti. L'agilità nel cavalcare le nuove tecnologie. Ecco perché Enrico Caruso è stato il primo divo pop del Novecento e perché, a cent'anni dalla morte, fa ancora scuola.
L'obbligo del green pass per gli spettacoli dal vivo è una delle poche cose chiare del decreto. Il problema sono le astruse formulazioni che dovrebbero fornire numeri precisi su quanti spettatori vaccinati possono entrare in un teatro o in un cinema. Il solito caos all'italiana.