Ci siamo alghe noi
Il metodo con cui un gruppo di scienziati australiani sta provando a riportare la flora della Barriera Corallina all'antico splendore. La vegetazione è stata progressivamente distrutta dagli eventi atmosferici, causando un danno irreparabile all'ecosistema.
L’obiettivo è far tornare la flora marina, messa a dura prova dalle conseguenze del cambiamento climatico, all’antico splendore. Riportare nel loro habitat naturale le alghe progressivamente scomparse a causa di sbalzi termici insoliti e tempeste di vario genere. Per riuscirci il team della James Cook University di Townsville, Australia, sfida ogni giorno coccodrilli, meduse, le cui punture possono essere mortali e, addirittura, sabbie mobili. Rischi elevati, per tentare di salvare l’ecosistema della Barriera Corallina a sud di Cairns, che da anni si sta riducendo, mettendo a rischio la vita delle tante specie animali e vegetali che la abitano. Un tempo, infatti, ospitava gamberi dugonghi e numerosi esemplari di tartarughe marine, attratti dai grossi quantitativi di cibo. Oggi, tuttavia, per la maggior parte sono un ricordo. Sul sito, di circa tre ettari, infatti nel tempo si sono abbattuti una serie di eventi dalla La Niña, al ciclone Larry, che hanno spazzato via i banchi di sabbia necessari per far proliferare le alghe.
Solo un intervento dell’uomo avrebbe potuto salvare la barriera
Uno scenario dalle conseguenze potenzialmente irreversibili, come ha spiegato al Guardian il professore associato Michael Rasheed: «Abbiamo cominciato questa avventura, consapevoli che senza un intervento riparatore, la situazione non sarebbe potuta migliorare». Quest’ultimo si è tradotto in una serie di telai, rilasciati sul fondo del mare, sopra i quali sono state piantate le alghe. La posa è avvenuta con il supporto di alcune imbarcazioni, perché come racconta ancora Rasheed: «A causa dei coccodrilli, non possiamo entrare in acqua». Ma i rettili non rappresentano il solo ostacolo: «Il fondale è costituito da un sedimento simile a sabbie mobili, molto pericoloso specie durante la bassa marea». L’impresa diventa ancora più difficile se si pensa che nella Grande Barriera ci sono oltre 15 varietà diverse di alghe e che un simile tentativo di salvarle rientra nel campo degli esperimenti.
Dal 2020, una serie di esperimenti per salvare la Barriera
I primi si sono iniziati a fare nel 2020, quando si è provato a far crescere le alghe sui telai in acciaio. Una soluzione inquinante e inefficace sul lungo periodo, sostituita adesso da tappeti biodegradabili, ricavati dalla fecola delle patate. Per verificarne i progressi, poi, gli scienziati si stanno avvalendo dell’uso di droni che con la bassa marea riescono a catturare immagini ad alta risoluzione. «Quando si parla di Barriera Corallina il pensiero non va mai alle alghe, eppure le specie sono più dei coralli», dice ancora Rasheed. E il loro ruolo è fondamentale, essendo capaci di rimuovere il 30 per cento in più di anidride carbonica rispetto alle piante delle foreste pluviali. Salvare, pertanto, è un’operazione che non può essere più posticipata.