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L’Aukus della bilancia

Usa, Regno Unito e Australia hanno firmato un trattato per rifornire Canberra di sottomarini a propulsione nucleare. Una mossa per contrastare l’espansionismo cinese che ha fatto infuriare Pechino. Ora sotto pressione anche da parte del Giappone.

16 Settembre 2021 15:2416 Settembre 2021 15:25 Nicolò Delvecchio
Usa e Uk hanno riforniranno l'Australia di sottomarini a propulsione nucleare, una mossa per isolare la Cina, sotto pressione anche da Tokyo.

Si chiama Aukus, ed è il nuovo patto trilaterale per la sicurezza nel Pacifico che ha fatto infuriare la Cina. L’acronimo sta per Australia-Regno Unito-Usa, ed è stato annunciato giovedì 16 settembre dai leader delle tre nazioni: tra le prime iniziative del programma c’è quella di rifornire Canberra di una flotta di sottomarini a propulsione nucleare nei prossimi 18 mesi. L’accordo è stato letto come una risposta all’espansione di Pechino nel Mar cinese meridionale e alle continue provocazioni militari nei confronti di Taiwan, e non è un caso che il presidente americano Joe Biden abbia parlato della necessità di mantenere «un Indo-Pacifio libero e aperto», e di affrontare «l’attuale ambiente strategico della regione» e «le minacce in più rapida evoluzione del XXI secolo».

La flotta sarà costruita ad Adelaide grazie alle tecnologie anglo-americane, e renderà l’Australia la settima nazione al mondo ad avere sottomarini alimentati da reattori nucleari. Il primo ministro Scott Morrison ha però sottolineato che i mezzi non trasporteranno armi atomiche. L’Australia ha firmato trattati di non proliferazione, come la vicina Nuova Zelanda, nelle cui acque è vietato il transito di navi a propulsione nucleare: la prima ministra Jacinda Ardern ha già detto che non ci saranno eccezioni per quelle australiane. La firma dell’accordo ha infastidito anche la Francia, che con l’Australia aveva un accordo da 90 miliardi di dollari per sostituire la sua vecchia flotta di sottomarini Collins. Su Twitter, l’ex ambasciatore francese negli Stati Uniti Gérard Araud ha addirittura parlato di «pugnalata alla schiena» da parte di Regno Unito e Usa.

France notes the decision just announced by the Australian Government of the halting of the ocean-class #FutureSubmarineProgram [FSP].
This decision is contrary to the letter and spirit of the cooperation which prevailed between 🇫🇷 and #Australia.

👉 https://t.co/m8YueQWGbN pic.twitter.com/Rb2VuV7yjz

— France Diplomacy🇫🇷 (@francediplo_EN) September 16, 2021

Aukus, un accordo contro la Cina

I Paesi coinvolti nell’accordo «dovrebbero scrollarsi di dosso la loro mentalità da Guerra fredda e i loro pregiudizi ideologici», ha detto il portavoce dell’ambasciata cinese a Washington Liu Pengyu. «Non si dovrebbero costruire blocchi esclusivi con l’unico obiettivo di prendere di mira e ledere gli interessi di altri», ha aggiunto. Sentito dal Guardian, il professore di relazioni internazionali alla Renmin University of China Shi Yinhong ha affermato che si tratta «senza dubbio» di una manovra per contrastare la Cina e, considerato che i tre considerano aggressiva l’espansione di Pechino nella regione, si tratta di «un patto strategico tra Paesi che la pensano allo stesso modo». Questo, però, potrebbe spingere Xi Jinping a reagire con «contromisure» e «senza compromessi», a maggior ragione se i futuri sottomarini australiani dovessero entrare nel Mar cinese meridionale per esercitazioni militari congiunte.

La Cina ha accelerato il suo sviluppo militare ed è diventata molto più aggressiva nella regione, soprattutto con le incursioni quasi quotidiane nella zona di difesa aerea di Taiwan. In molti temono che le tensioni nel Mar cinese meridionale o nello Stretto di Taiwan possano degenerare in un conflitto. Il premier australiano ha però invitato il leader cinese a discutere i problemi dell’area: i rapporti bilaterali e commerciali tra Canberra e Pechino sono da tempo pessimi, e la stipula dell’Aukus difficilmente potrebbe migliorarli. Sempre secondo alcuni esperti citati dal Guardian, questi nuovi sottomarini potrebbero portare proprio allo sviluppo di nuove armi nucleari.

Nei fatti, la Cina è diventata sempre più isolata sulla scena mondiale. Biden e Xi hanno parlato al telefono la scorsa settimana per la prima volta da mesi e i recenti incontri con funzionari stranieri sono finiti in un nulla di fatto. Su Twitter Tom Tugendhat, presidente della commissione per gli Affari esteri del parlamento del Regno Unito, ha sottolineato che l’Aukus era chiaramente una risposta alla Cina: «Per anni, Pechino è andata avanti indisturbata con atti di bullismo e ostilità commerciale. Nel vedere vicini regionali come le Filippine costantemente invasi nelle loro acque territoriali, l’Australia non ha avuto altra scelta», se non quella di correre ai ripari.

The reason for all this is clear – China. After years of bullying and trade hostility, and watching regional neighbours like the Philippines see encroachment into their waters Australia didn’t have a choice. 4/

— Tom Tugendhat (@TomTugendhat) September 15, 2021

Il Giappone sfida la Cina sulle isole Senkaku

Tra i tanti commenti in risposta alla firma dell’Aukus è mancato al momento quello del Giappone, tra i principali attori regionali e tra i più affidabili partner dell’Occidente. Una superpotenza che, forse più delle altre, guarda con sospetto e preoccupazione alle mire espansionistiche della Cina. Tokyo non sembra intenzionata ad abbassare la tensione. In un’intervista esclusiva con la Cnn, il ministro della Difesa Nobuo Kishi ha detto che il Giappone è pronto a difendere con ogni mezzo le isole Senkaku, contese anche da Pechino (che le chiama isole Diaoyu) ma che Tokyo considera «indiscutibilmente giapponesi».

Si tratta di un arcipelago roccioso disabitato, a quasi 2 mila chilometri dalla capitale nipponica ma vicino a Taiwan e Shanghai, conteso da secoli tra Giappone e Cina per la sua posizione strategica. Kishi ha dichiarato il suo Paese reagirà «nave per nave» all’atteggiamento aggressivo di Pechino, preparando addirittura il terreno per una potenziale resa dei conti, per quanto al momento la spesa militare della Repubblica popolare superi di gran lunga quella dei vicini.

Per le autorità giapponesi, le navi della guardia costiera cinese si sono avventurate nelle acque territoriali giapponesi, o entro 12 miglia nautiche dalla terra giapponese, per un totale di 88 volte tra il primo gennaio e la fine di agosto. Mentre nella zona contigua, quella delle acque tra le isole ma non nelle 12 miglia dalla costa, si sono registrate 851 incursioni cinesi. Provocazioni sulle quali Tokyo non sembra più disposta a sorvolare.

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