L’assalto alla sede romana della Cgil da parte di alcuni manifestanti No Green Pass aizzati da forze di estrema destra tra cui Forza Nuova – movimento neofascista decapitato dagli arresti della notte (in manette sono finiti sia il leader nazionale Roberto Fiore sia quello romano Giuliano Castellino) riportano le lancette della Storia italiana indietro di un secolo, agli inizi dell’epoca fascista.
Il biennio nero e gli attacchi delle squadracce alle Camere del lavoro
Il cosiddetto biennio nero (1921-22) fu infatti segnato dagli attacchi ripetuti dei fascisti al movimento operaio e alle istituzioni dello Stato liberale. Dopo l’assalto al Comune di Bologna il 21 novembre 1920 preceduto dalla distruzione, il 4 novembre, della Camera del Lavoro della città, si moltiplicarono gli attacchi e i saccheggi delle squadracce fasciste a Camere del lavoro, Case del popolo, cooperative e leghe a partire dall’Emilia-Romagna. Tra le vittime dei fascisti va ricordato Spartaco Lavagnini, segretario del sindacato ferrovieri ucciso a Firenze il 27 febbraio 1921. Violenze che culminarono il 28 ottobre del 1922 con la marcia su Roma e la conseguente presa di potere da parte di Mussolini. Il tutto senza che lo Stato si opponesse. Il fascismo infatti appariva alla classe dirigente italiana come l’unica forza in grado di tener testa al movimento operaio e di riportare l’ordine nel Paese agitato da grandi scioperi come l’occupazione delle fabbriche del 1920-21.
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Gli accordi di Palazzo Vidoni del 1925 e l’istituzione nel 1926 di un unico sindacato fascista
Se da un lato il regime proseguiva nella sua opera di normalizzazione politica, cercando inutilmente di coinvolgere nel governo alcuni leader dell’allora CgdL (Confederazione Generale del Lavoro) dall’altro le violenze continuarono fino all’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti nel giugno 1924. La crisi aperta dall’uccisione di Matteotti fu superata nel 1925 con la svolta totalitaria del regime e la promulgazione delle leggi fascistissime che di fatto cancellarono ogni forma di opposizione pubblica al fascismo. Come ricorda il sito della Cgil, con gli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, Confindustria e sindacato fascista si riconoscevano reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro e abolivano le Commissioni Interne. Con la legge 563 del 3 aprile 1926 venne riconosciuto giuridicamente il solo sindacato fascista (l’unico a poter firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro), si istituiva una Magistratura ad hoc per la risoluzione delle controversie di lavoro e veniva cancellato il diritto di sciopero.
La scissione del sindacato tra clandestinità ed esilio a Parigi
Le leggi liberticide di Mussolini e la crisi economica del 1929 portarono alla scissione del sindacato. Il 4 gennaio 1927 il vecchio gruppo dirigente della CgdL decise l’autoscioglimento dell’organizzazione. Contrario Bruno Buozzi, Segretario generale della CgdL dal 1925, che nel febbraio dello stesso anno ricostituì la CgdL a Parigi. Il sindacato in esilio aderì con alcuni partiti alla Concentrazione d’azione antifascista. Sempre nel febbraio del 1927 si tenne la prima Conferenza clandestina di Milano: i comunisti crearono la propria Confederazione Generale del Lavoro. In questo modo, dalla fine degli Anni 20 e fino alla caduta della dittatura fascista, le CgdL furono due: una di ispirazione riformista, aderente alla Federazione Sindacale Internazionale; l’altra comunista, aderente all’Internazionale dei Sindacati Rossi. A capo della CGdL clandestina fu chiamato nel 1930 Giuseppe Di Vittorio.
L’armistizio e gli accordi con gli industriali del 1943
I rapporti tra le due Confederazioni furono tesi fino a metà Anni 30 ma davanti all’avanzata di Hitler in Germania (gennaio 1933) le diverse anime della sinistra ripresero il dialogo. Gli effetti si fecero sentire sia sulla politica italiana, con la firma nel 1934 del Patto di unità d’azione tra PCd’I e PSI, sia sul sindacato. Il 15 marzo 1936, Buozzi e Di Vittorio si incontrarono a Parigi per firmare la piattaforma d’azione della Cgl unica. Prima della caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, al Nord erano tornati gli scioperi contro la crisi e in seconda battuta contro il regime. Con l’arresto del Duce, il nuovo governo Badoglio commissariò le vecchie strutture sindacali fasciste: il socialista Buozzi divenne il nuovo Commissario dei Sindacati dell’Industria, all’Agricoltura fu nominato il cattolico Achille Grandi, mentre al comunista Di Vittorio venne affidata l’organizzazione dei braccianti. Il 2 settembre 1943, poche ore prima della firma dell’armistizio, Buozzi firmò con gli industriali un accordo interconfederale per il ripristino delle Commissioni Interne.
Il 3 giugno 1944 con il Patto di Roma rinasceva il sindacato libero
Nei mesi successivi, con la nascita della Rsi, cominciò la resistenza partigiana. Insieme con gli scioperi sempre più politici. Durante le manifestazioni di fine 1943 e di marzo e giugno 1944 migliaia di operai furono deportati nei campi di lavoro e di concentramento tedeschi. Questo mentre nel Sud Italia cominciavano a ricostituirsi le Camere del Lavoro. Il 3 giugno 1944 poco prima della liberazione della Capitale venne firmato il Patto di Roma che decretava la rinascita del sindacato libero. La Cgil (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) unitaria nasceva dal compromesso tra le tre principali forze politiche italiane: infatti, il Patto di Roma fu siglato da Giuseppe Di Vittorio per i comunisti, Achille Grandi per i democristiani ed Emilio Canevari per i socialisti. In quelle stesse ore Bruno Buozzi veniva ucciso dai nazisti. Il 25 aprile 1945 l’Italia tornò finalmente libera.