Giochi di potere. Per la Russia lo sport è sempre stato politica. E il concetto è stato sviluppato al massimi sotto il regime di Vladimir Putin, che ne ha fatto uno strumento di potenza a vasto raggio oltreché un canale per la costruzione del culto della personalità del leader. Sicché, rovesciando l’ottica, è stato conseguente farne una leva dell’isolamento internazionale del regime putiniano dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma adesso, dopo che sono trascorsi quasi 14 mesi dall’inizio delle operazioni belliche, il fronte dell’embargo si trasforma in una mappa di crepe e defezioni. Che mette il Comitato olimpico internazionale (Cio) in una condizione di disagio creata dalle sue stesse ambiguità. Il motivo del contendere è sempre quello: la partecipazione degli atleti russi e bielorussi alle competizioni sportive internazionali. Un tema che peraltro porta con sé un elemento di polemica collaterale, relativo alla partecipazione a titolo individuale o sotto la bandiera del proprio Paese.
Quanto è putiniana la boxe mondiale
L’ennesimo fronte di conflitto si è aperto nel mondo della boxe. Un fronte caldissimo, nel quale i motivi del contendere escono dall’ambiguità per mostrarsi in tutta nitidezza. Succede infatti che l’International boxing association (Iba) sia la più putiniana delle federazioni sportive internazionali, capace in ciò di sopravvivere all’ondata di sanzioni che nelle settimane immediatamente successive all’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe ha colpito il mondo dello sport e portato delle ripercussioni chiarissime nei confronti degli oligarchi. È stato in conseguenza di questa ondata che Roman Abramovich ha dovuto vendere il Chelsea, così come a Alisher Usmanov (ex azionista di maggioranza dell’Arsenal) è toccato farsi da parte dalla presidenza della federazione internazionale della scherma. La mobilitazione dello sport contro l’aggressione bellica ha portato anche all’annullamento del contratto di sponsorizzazione stipulato tra Uefa e Gazprom. E per quanto riguarda il colosso russo del gas la chiusura delle porte da parte di altri soggetti dello sport europeo è stata generalizzata. Ma non unanime, perché proprio dall’Iba è giunta una mossa in controtendenza.

Asse con Gazprom e scandalo corruzione
Alla fine del 2022, infatti, la federazione internazionale del pugilato ha rinnovato il contratto di sponsorizzazione con Gazprom. Questo ha fatto infuriare il Cio e fatto esplodere in modo definitivo il conflitto fra il Comitato olimpico internazionale e la federazione pugilistica mondiale. I rapporti fra i due soggetti erano già stati compromessi dopo che nel 2016, in occasione delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, era venuto alla luce uno spettacolare scandalo di corruzione che coinvolgeva arbitri e giudici di gara e che di fatto ha tolto ogni credibilità alla competizione. Fra le conseguenze di quel passaggio c’è stata la messa in quarantena della federazione pugilistica mondiale e il tentativo di cambiarne l’immagine attraverso il mutamento di nome (da Aiba a Iba). Quest’ultima è una mossa voluta dal presidente eletto nel 2021, un russo che nel cognome porta fatalmente il segno di una totale fedeltà a Putin: Umar Kremlev. Le prime mosse di riavvicinamento fra Cio e Iba non hanno impedito che il torneo di boxe olimpico di Tokyo 2020 sia stato gestito direttamente dal Comitato olimpico internazionale anziché dalla federazione. Ma poi quel tentativo di riprendere il rapporto istituzionale è stato vanificato dallo schiacciamento dell’Iba su posizioni filo-russe dopo l’esplosione del conflitto in Ucraina. Una tendenza che si è rafforzata man mano che, col trascorrere dei mesi dall’inizio delle operazioni belliche, il mondo dello sport ha preso ad allentare l’atteggiamento intransigente verso lo sport russo.

Sotto quella bandiera: partecipare ma a titolo individuale
La tendenza all’abbassamento della soglia è stata colta al volo da Kremlev, che ha forzato la mano sul tema della partecipazione degli atleti russi e bielorussi. Mentre in seno al Cio si discuteva per mesi sulla possibilità di farli partecipare a titolo individuale anziché in rappresentanza della propria federazione nazionale e del proprio Paese (ciò che, dall’altro lato dello schieramento, provoca il disappunto di chi non vorrebbe proprio veder partecipare atleti russi e bielorussi), l’Iba ha sdoganato pure i vessilli nazionali decretando unilateralmente la fine dell’embargo sportivo di Russia e Bielorussia. L’ordine è stato già applicato in occasione dei Mondiali femminili tenuti a Nuova Delhi (India) dal 15 al 26 marzo 2023. E verrà confermato in occasione dei prossimi appuntamenti internazionali. Ciò ha provocato il boicottaggio della manifestazione da parte di 11 Paesi (oltre all’Ucraina, la lista è composta da Canada, Gran Bretagna, Irlanda, Norvegia, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Svezia, Svizzera e Usa). Dal canto suo Kremlev non si è scomposto e addirittura ha proposto di finanziare la partecipazione alle atlete dei Paesi boicottanti che volessero partecipare a titolo individuale. Da qui in poi lo scontro col Cio è diventato insanabile e ha portato alla decisione di rafforzare il cordone sanitario intorno all’Iba. Ma la verità è che i vertici dello sport olimpico mondiale stanno rimanendo schiacciati dalle loro ambiguità.

A che Giochi giocate? I boicottaggi aumentano
L’ultimo annuncio di boicottaggio è arrivato dal mondo della scherma, dove le federazioni di Germania e Polonia hanno annunciato il ritiro dei loro atleti dalle competizioni internazionali dopo che la federazione mondiale ha decretato la riammissione di russi e bielorussi. La riammissione è avvenuta a titolo individuale, come da indicazioni del Cio che sul tema ha cincischiato a partire da dicembre 2022 mantenendo un doppio standard: da una parte, condanna dell’aggressione russa e solidarietà al popolo ucraino; dall’altra, sollecitazione del ritorno alle competizioni da parte di atleti russi e bielorussi, a patto che partecipino a titolo individuale, senza bandiere e con nessuna dimostrazione di consenso alla politica dei loro governi. Su questa strada il Cio ha raccolto la posizione favorevole da parte delle associazioni dei Comitati olimpici asiatici (Oca) e africani (Acnoa). In senso contrario si sono schierati 35 ministri dello Sport che hanno firmato una lettera indirizzata al Cio (per l’Italia il firmatario è Andrea Abodi, ministro dello Sport e dei giovani) per stigmatizzare questa posizione cerchiobottista e ricordare che per la Russia putiniana l’intreccio fra sport e politica è indissolubile. Il Cio fa finta di nulla e procede per la sua strada. Con l’effetto di ritrovarsi scavalcato da soggetti come l’Iba, e magari da altri che verranno. Paga la propria mancanza di una posizione chiara. E se lo merita.