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Vedo verde

Il rifiuto per l’arte

Raccolgono la spazzatura dalle strade di Kinshasa e le trasformano in opere: chi sono gli street artist che cercano di sensibilizzare i congolesi sui temi della sostenibilità e di uno stile di vita più green.

20 Agosto 2021 16:4320 Agosto 2021 16:48 Camilla Curcio
Sono diversi gli artisti congolesi che utilizzano i rifiuti di Kinshasa per costruire opere d'arte volte a sensibilizzare la popolazione.

Bambole abbandonate tra i cassonetti di una discarica, pezzi di vecchie radio ormai non più funzionanti e ciabatte consumate. Questi sono solo alcuni degli oggetti che un gruppo di artisti di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, utilizza per trasformarsi in sculture animate finalizzate a sensibilizzare i cittadini su questioni politiche e ambientali particolarmente urgenti.

L’arte del recupero al servizio della sensibilizzazione

Con costumi realizzati da materiale di scarto gli street artist, appartenenti a diversi collettivi locali, esprimono opinioni su vicende politiche contemporanee o rinfrescano la memoria del pubblico su episodi del passato. E, allo stesso tempo, ribadiscono il disperato bisogno della città di uno stile di vita sostenibile e a impatto zero. Unica soluzione possibile all’eccesso di rifiuti che ingombrano ormai da anni strade e quartieri. Per i loro look, eccentrici e ben poco convenzionali, la gente li guarda spesso di sottecchi, trattandoli con indifferenza o etichettandoli come folli. «Ci riservano occhiate parecchio strane», ha spiegato Shaka Fumu Kabaka al Guardian, «Sono un uomo che gira coi rasta e raccoglie scarti dai secchi della spazzatura. I cittadini di Kinshasa ci reputano fuori di testa o, forse, vittime di qualche strana magia».

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Shaka Fumu Kabaka e le sue bamboline in ricordo delle vittime di guerra

Da bambino Kabaka si è trovato ad assistere alle atrocità di quella guerra che per sei giorni, nell’estate del 2000, ha visto contrapporsi le forze armate dell’Uganda e quelle del Ruanda nella città congolese di Kisangani. Allora non avrebbe mai pensato di poter convertire quelle immagini così dolorose in arte: «In un conflitto che non era neppure il nostro, ho visto sofferenze disumane. E ho perso tante persone care», ha raccontato il 33enne. Che, dopo parecchi anni e grazie alla militanza tra i venti creativi del collettivo Ndaku Ya La Vie Est Belle, è riuscito a trovare un modo per ricordare tutte quelle vittime innocenti attraverso Matshozi 6 Hours (Six Days of Tears). Un outfit surreale fatto di giocattoli recuperati qua e là. «Ogniqualvolta mi capita di vedere una bambola lasciata chissà dove, mi viene in mente tutto quello che è successo a Kisangani. Nel mio immaginario, sono diventate il simbolo delle persone uccise davanti ai miei occhi», ha spiegato. «La prima volta che le ho indossate mi sono sentito addosso un peso insopportabile. Non per la massa in sé, quanto per tutto quello che rappresenta».

Dalle lattine alle siringhe, tutto fa provocazione

Coperto da capo a piedi di lattine d’alluminio, Eddy Ekete, uno dei fondatori del KinArt Festival (rassegna interamente dedicata alla street art di recupero, ricca di eventi e workshop per avvicinare i giovani a queste nuove e insolite forme di espressione), è stato uno dei primi a girovagare per le strade della capitale indossando le sue opere d’arte. Il progetto che lo ha reso celebre rimane, senza dubbio, Homme Canette, ispirato a colleghi incontrati per caso tra il Brasile e l’Africa occidentale. Più recenti ma, non per questo, meno rivoluzionari sono, invece, i lavori di Kalenga Kabangu Jared, studente dell’Accademia di Belle Arti di Kinshasa, e della giovane ed eclettica Falonne Mambu.

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Mentre Jared intrattiene i passanti vestito da Robot Annonce, un costume realizzato con componenti di radio in disuso e nato per invitare le persone a non cadere nella trappola delle fake news e della disinformazione, Mambu ha utilizzato il suo passato per dare vita a Femme Électrique, un look fatto solo ed esclusivamente di cavi elettrici. «Ho vissuto per molto tempo in strada. Ero una senzatetto. Poi ho trovato l’arte e ho scoperto di avere una voce», ha dichiarato la 30enne, «Voglio parlare di quello che ho passato come giovane donna e di quello che si trovano spesso a subire tante ragazze, anche più giovani. Attraverso il mio lavoro, posso far sì che denunciare la violenza sessuale non sia più percepito come una vergogna o un tabù». Ultimo ma non di certo per fama, Flory Sinanduku, membro del collettivo Farata, che si è fatto conoscere per le sue creazioni ideate a partire da siringhe e medicinali. Chiara ed esplicita denuncia dello scarso funzionamento del sistema sanitario nella Repubblica Democratica del Congo.

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