Articolo Uno, base e Sud in rivolta contro Speranza

Paola Alagia
03/10/2022

La base di Articolo Uno, soprattutto al Sud, è in rivolta contro il segretario Roberto Speranza. Da più parti lo si accusa di aver tradito il mandato, abbandonato l'ipotesi di campo largo col M5s ed essersi appiattito ai diktat di Letta. La resa dei conti si avvicina.

Articolo Uno, base e Sud in rivolta contro Speranza

La data cerchiata in rosso è quella dell’8 ottobre, quando si riunirà la direzione di Articolo uno. Guarda caso dopo quella sul congresso che il Pd ha convocato per il 6. Anche in questo, la formazione di Roberto Speranza si mette in scia, anzi «si nasconde dietro il Nazareno», come lamenta una base sempre più irrequieta e insoddisfatta e che punta il dito contro le scelte di una dirigenza che, questo è lo sfogo comune, ha completamente abdicato al progetto iniziale e ha dimostrato solo «subalternità e una totale mancanza di indipendenza di giudizio». La sconfitta elettorale, dunque, brucia anche da queste parti, nonostante il ministro della Salute uscente, in un’intervista a Repubblica, glissi sulle responsabilità, addebitando le ragioni della débâcle al male comune dell’astensionismo e alla legge elettorale. Insomma, manca solo il destino cinico e baro. In sostanza, comunque, il segretario e il gruppo dirigente condividono la road map del leader dem Enrico Letta, anche se si tratta per ora di «un sì condizionato», copyright del coordinatore Arturo Scotto.

La rivolta della base: 300 iscritti hanno chiesto le dimissioni dei vertici di Articolo Uno

Tutto questo, però, non è sufficiente a calmare la base. Per il segretario Speranza, quindi, non saranno momenti facili. Letta sul banco degli imputati ci è salito da solo, ma anche per il leader di Articolo uno c’è aria di processo. È un’onda di malcontento che parte dalla Toscana e arriva fino in Sardegna, passando per la Campania e la Sicilia. Sono queste le regioni dove ormai il disagio ha raggiunto i livelli di guardia e in cui gli iscritti sono pronti a chiederne la testa. C’è un documento ufficiale dal titolo “La mucca non è più nel corridoio, ma a palazzo Chigi” col quale oltre 300 iscritti in tutta Italia hanno formalizzato il loro dissenso, chiedendo esplicitamente che il segretario di Articolo Uno e il gruppo dirigente «rassegnino le proprie dimissioni con effetto immediato» e che «si convochi un nuovo congresso nazionale per decidere insieme il nostro futuro».

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Arturo Scotto (da Fb).

«Gli errori addebitati a Letta non possono lasciare indenne il gruppo dirigente di Art Uno»

È proprio in Sicilia che si registra l’insofferenza più profonda verso le decisioni prese in solitaria dal partito. Il segretario regionale Giuseppe Zappulla a Tag43 lo dice senza mezzi termini: «La maggioranza all’ultimo congresso scelse di imboccare una strada che era di fatto di confluenza nel Pd, progetto al quale ci opponemmo proprio perché per noi Articolo uno è nato non solo in opposizione alla gestione renziana del partito, ma anche per essere motore della ricostruzione di un nuovo soggetto unitario della sinistra. È evidente che le scelte compiute in queste elezioni hanno ratificato la nostra preoccupazione. Ed è altrettanto evidente che gli errori che vengono addebitati a Letta non possono lasciare indenne il gruppo dirigente di Articolo uno». Eppure Scotto esclude un passaggio nel Pd, non è sufficiente? «Sentire queste dichiarazioni è l’ennesimo atto di ipocrisia che il nostro popolo non merita. Ci sono delle responsabilità precise dietro questo risultato elettorale che vanno riconosciute, non possiamo accontentarci di aver eletto cinque rappresentanti, i nodi politici vanno affrontati». Non che in Campania il malcontento sia minore. Già prima delle elezioni, infatti, i dirigenti locali del partito in una lettera aperta a Speranza parlavano di «svendita del patrimonio politico» e di «cedimento al sistema De Luca (l’attuale governatore, ndr)». Tra i firmatari c’era anche l’ex segretario campano della Cgil e di Articolo uno Michele Gravano. «Ci vuole un’analisi seria della sconfitta, a cominciare dall’esito deludente dell’elezione di Speranza a Napoli», spiega. «Non basta far finta che non sia successo niente. Chiederemo un congresso straordinario e, naturalmente, che i vertici del partito si presentino dimissionari». Una posizione, quest’ultima, vergata anche dal co-coordinatore regionale del partito in Campania, Valentina Botta, e già portata a conoscenza dei coordinatori regionali e metropolitani.

Un partito spaccato in tre

Insomma, il partito di Bersani è in rivolta. Almeno la base lo è. Un disagio che tuttavia non è rappresentato nell’organo ristretto del partito è cioè in segreteria. Sebbene pure qui non manchino i distinguo. In sintesi, è un partito spaccato in tre: ci sono il cerchio magico intorno al segretario, una fetta di iscritti che ormai è già con un piede fuori dal partito (ed è quella che a conti fatti non ha votato per la lista ‘democratici e progressisti’, ma ha optato o per il M5s o per l’astensione) e infine un’area critica, ma non ostile che punta l’indice contro la mancanza di collegialità nelle decisioni prese in campagna elettorale e che, al tempo stesso, sarebbe però favorevole a una stagione congressuale di rifondazione della sinistra. A patto che questo non significhi annullarsi nel Pd. E sarebbero diversi i dirigenti a pensarla così, da Piero Latino a Flavia Timbro, rispettivamente responsabili del lavoro e della legalità di Articolo uno, passando per Anna Colombo (politiche internazionali) e Simone Oggionni (Formazione e cultura).

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Simone Oggionni (da Fb).

Il ruolo del Mezzogiorno, opposizione del Paese

Una posizione a sé stante è invece quella espressa dal deputato uscente Federico Conte, responsabile giustizia del partito, che sabato scorso ha affidato alle colonne del Fatto Quotidiano una sua analisi sulla «rivolta del Sud contro il Pd e le altre élite». Raggiunto al telefono da Tag43, Conte non ci gira intorno: «Io non credo che quanto avvenuto possa essere fronteggiato con le categorie e gli strumenti ordinari dei partiti che hanno concorso a determinare questa crisi. Né tantomeno dagli artefici di un simile fallimento. C’è bisogno di una svolta straordinaria che rappresenti una vera e propria rivoluzione nel campo dei progressisti. Il presupposto da cui partire è sotto gli occhi di tutti: il Sud è all’opposizione del Paese. Una prospettiva politica della sinistra in Italia, quindi, non può prescindere dal Mezzogiorno».

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Pierluigi Bersani ed Enrico Letta (da Fb).

Speranza è accusato di aver tradito il mandato con il quale era stato rieletto segretario

In vista della direzione di sabato prossimo, dunque, Il dibattito dietro le quinte è acceso. Per molti la ferita che brucia di più rimane il totale azzeramento dell’identità del partito alle elezioni. Sono coloro che fanno un paragone con Sinistra italiana e i Verdi «che hanno mantenuto la loro cifra distintiva e riconoscibilità alle elezioni, mentre noi ci siamo letteralmente ‘sciolti’ nel Pd, senza che questo sia formalmente avvenuto», recriminano. Non manca, poi, chi accusa Speranza di aver tradito il mandato col quale ad aprile scorso è stato rieletto segretario: «La sua mission doveva essere il campo largo con i cinque stelle e lavorare a una forza politica nuova guardando alla famiglia del Pse», dice un dirigente di Articolo uno. «Peccato che si sia accodato alla decisione unilaterale di Letta e abbia piegato la linea politica a scopi elettorali». A ben vedere, infatti, proprio Pierluigi Bersani si era speso in tutti i modi per il campo largo e a difesa del M5s. Anche lui poi, però, ha in qualche modo abdicato. «Ha prevalso sicuramente la disciplina di partito», lo difendono dentro Articolo uno, «e poi per lui questa è una fase politica in cui preferisce provare a dare una rotta piuttosto che infilarsi dentro battaglie dirette». Intanto, la mucca è arrivata a Palazzo Chigi. «Nella direzione dell’8 ottobre», soffia chi è sul piede di guerra, «non si potrà far finta niente». Qualcuno più rassegnato invece si abbandona a un pronostico: «Non cambierà granché. Speranza è riuscito a garantire la rielezione del gruppo di testa di Articolo uno e sarà questa molto probabilmente la sua ancora di salvezza. Ma c’è da chiedersi: un partito di cui rimane solo il cerchio magico, che partito è? Sarà un leader senza base. Contento lui…».