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Tokyo 2020

Fede di traverso

Ha vinto uno storico oro nella ginnastica ed è un eroe nazionale, ma in Israele per la legge religiosa non può sposarsi. Come in Italia per lo ius soli, anche nello Stato ebraico le Olimpiadi accendono un faro sui diritti negati. La storia di Artem Dolgopyat.

3 Agosto 2021 12:253 Agosto 2021 13:33 Francesca Buonfiglioli
Vince un oro a Tokyo ma non può sposarsi in Israele: la storia di Artem Dolgopyat e il dibattito sul matrimonio civile nel Paese

Ha vinto una storica medaglia d’oro alle Olimpiadi ma una volta tornato in Israele lo Stato che ora lo saluta come un eroe nazionale non gli permetterà di sposarsi. A differenza di Gianmarco Tamberi, che dopo l’impresa nel salto in alto a Tokyo 2020 convolerà a nozze con la fidanzata Sara Bontempi e dello sprinter Marcell Jacobs che porterà all’altare la compagna e madre dei suoi figli Nicole Daza, per il ginnasta israeliano Artem Dolgopyat non ci saranno fiori d’arancio.

Artem, israeliano ma non ebreo per la legge

L’atleta, arrivato dall’Ucraina con la famiglia quando aveva 12 anni, ha vinto la seconda medaglia d’oro della storia di Israele e la prima in assoluto nella ginnastica artistica. Eppure per la legge non è un ebreo e quindi, come ha ricordato la madre Angela in una intervista alla radio 103Fm, non può sposare la fidanzata in patria. Un affondo che tocca un nervo scoperto in Israele. Secondo la Legge del ritorno del 1950, può effettuare la aliyah, ovvero il ritorno alla Terra Promessa, chiunque abbia almeno un nonno ebreo. Il padre di Artem lo è, ma non la madre. E visto che l’ebraicità è matrilineare, secondo la halacha, la legge religiosa ebraica, questo non fa di Artem un ebreo. Così, pur vivendo in Israele e avendo prestato servizio nell’esercito, non può contrarre matrimonio (lo stesso vale per i funerali).

In Israele non esiste il matrimonio civile

È un problema per centinaia di migliaia di israeliani. Nel Paese infatti non esiste il matrimonio civile e la legge prevede che le nozze siano celebrate da un rabbino autorizzato dal Gran Rabbinato. Chi non rientra nei canoni stabiliti dall’istituzione – comprese le coppie dello stesso sesso, le coppie interreligiose e, appunto, gli israeliani non considerati ebrei – è costretto a sposarsi all’estero e registrare in un secondo momento il matrimonio. Non esattamente una passeggiata per Artem: visto il suo fitto programma sportivo difficilmente potrà viaggiare fuori dai confini nazionali, almeno secondo la madre. Il campione, dal canto suo, ha cercato di gettare acqua sul fuoco: «Sono cose private, non è il caso di parlarne ora», si è limitato a rispondere ai giornalisti a Tokyo. Mentre la fidanzata Maria Seikovitch, mostrando orgogliosa l’anello alle telecamere, ha sottolineato che Artem «ha capito le regole del gioco» per quanto riguarda le leggi israeliane sul matrimonio.

Il sostegno del vice premier e del ministro al Turismo

I tentativi di istituire il matrimonio civile sono naufragati negli anni a causa del muro posto dai partiti ultra-ortodossi. Eppure stando a un sondaggio del 2019 dell’Israel Democracy Institute quasi il 60 per cento degli ebrei israeliani si dice favorevole alla sua legalizzazione. Ancora una volta le Olimpiadi hanno riacceso il dibatto sui diritti. In Israele come in Italia dove, dopo l’uscita del presidente del Coni Giovanni Malagò sullo ius soli sportivo, si è tornati a parlare di cittadinanza. «Non è che Dolgopyat abbia il diritto di sposarsi in Israele per gli straordinari risultati sportivi che ha ottenuto, ma perché è cittadino di un Paese democratico», ha commentato Katya Kupchik, un’attivista dell’associazione Israel Hofsheet che si batte per la libertà di culto e il pluralismo religioso sul sito Ynet. A sostegno del matrimonio civile si è schierato anche il vice primo ministro Yair Lapid. «Artem, come centinaia di migliaia di altri israeliani, non dovrebbe avere il permesso del Gran Rabbinato per esercitare un diritto fondamentale», ha dichiarato. Lapid, come ha scritto il Jerusalem Post, ha quindi promesso che con il suo partito Yesh Atid «combatterà in ogni modo per il matrimonio civile». «Non sopporto che un atleta salga sul podio, sulle note della Hatikva, l’inno nazionale, e vinca una medaglia d’oro nel nome di Israele, e poi non possa sposarsi in patria». In favore di Dolgopyat si è schierato anche il ministro del Turismo Yoel Razvozov, anch’egli immigrato dall’ex Unione Sovietica e atleta olimpico. «I cittadini israeliani, non importa dove siano nati, non dovrebbero aver bisogno di sottoporsi a un processo umiliante per ottenere l’approvazione o il rifiuto dal Rabbinato per potersi sposare», ha twittato Razvozov.

גאווה ישראלית על הפודיום וסוג ב' מתחת לחופה.

לא הגיוני שהרבנות של אותה מדינה שארטיום דולגופיאט ייצג היום בכבוד לא מאפשרת לו זכויות אזרחיות בסיסיות כמו להתחתן בארץ.
אזרחי ישראל, ולא משנה היכן נולדו, לא צריכים לעבור תהליך מייגע ומשפיל ולקבל אישור או דחייה מהרבנות כדי להתחתן. pic.twitter.com/xk8ceJ3oDC

— 🟠Yoel Razvozov | יואל רזבוזוב (@YRazvozov) August 1, 2021

«L’orgoglio di Israele sale sul podio, ma è un cittadino di seconda classe sotto l’hupa», ha aggiunto riferendosi al tradizionale baldacchino nuziale ebraico. Di visione diametralmente opposta il quotidiano ultra-ortodosso Kikar Hashabbat: «Non vorrei vivere in un Paese che fa della vittoria di una medaglia lo standard per la conversione», ha scritto Yishai Cohen, perché la conversione richiede di accettare «il giogo della Torah e i comandamenti». Insomma, che in ballo ci sia il diritto al matrimonio o alla cittadinanza, che a osteggiarli siano il Gran Rabbinato e gli ultraortodossi o la destra nostrana, il discorso non cambia.

Tag:Olimpiadi2020
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